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Vi racconto il primo passo verso la regolamentazione del lobbying

La prossima settimana approderà in Aula il testo unificato sull’Attività di rappresentanza di interessi, approvato dalla Commissione Affari Costituzionali. È la prima volta dal 1948 che un provvedimento tale supera la discussione in Commissione, approdando in uno dei due rami del Parlamento. L’intervento di Michelangelo Suigo, direttore Relazioni esterne, comunicazione e Sostenibilità-Inwit

Nelle democrazie moderne l’indirizzo politico è costituito da una pluralità di attori e portatori di singole istanze che il decisore pubblico, nella definizione dell’interesse generale, è chiamato a sintetizzare.

Quanto scritto nel 1955 da Luigi Einaudi, nella dispensa “Conoscere per deliberare” delle sue “Prediche inutili” rappresenta tutt’oggi la sintesi forse più efficace anche di quello che dovrebbe essere il rapporto tra portatori di interessi e decisori e suona più che come un monito, come un autentico vademecum che andrebbe seguito alla lettera. La trasparenza del processo decisionale, non c’è dubbio, è un assunto fondamentale che deve essere tutelato, anche per scongiurare pericolose derive antidemocratiche.

È un rischio tutt’altro che secondario in Italia, dove i processi di informazione e influenza delle decisioni pubbliche avvengono talvolta in una zona opaca e per di più priva di regolamentazione. Nel nostro Paese, infatti, non esiste una legge organica sulla rappresentanza degli interessi, anche se dal 1976 ad oggi sono stati presentati ben 97 disegni di legge volti a regolamentare questi rapporti. Ci sono invece oltre 450 disposizioni normative, spesso disapplicate e frammentarie, che prevedono obblighi di trasparenza per decisori e stakeholder.

In Italia, secondo una recente analisi di The Good Lobby, solamente 3 ministeri su 18 hanno costituito un’agenda degli incontri o un registro per la trasparenza. Il report di Transparency International Italia mostra poi come il sistema che regola la rappresentanza degli interessi sia insufficiente, proprio a causa di bassi livelli di trasparenza, integrità e parità di accesso al decisore. Il voto complessivo che viene assegnato al nostro Paese è, impietosamente, 20 su 100. Un ritardo che oggi potrebbe essere colmato. Nei prossimi giorni, infatti, l’Assemblea della Camera dei Deputati inizierà la discussione sul testo unificato “Attività di rappresentanza di interessi A.C. T.U. 196 ed abbinati”, approvato dalla Commissione Affari Costituzionali, risultante da tre Disegni di legge a prima firma dei deputati Silvestri (M5S), Fregolent (Iv) e Baldino (M5S).

È una data storica, come ha sottolineato il professor Pier Luigi Petrillo, perché è la prima volta dal 1948 che un provvedimento tale supera la discussione in Commissione, approdando in Aula in uno dei due rami del Parlamento. Il 21 settembre scorso anche l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), che si occupa principalmente di cooperazione e dialogo politico, ha dato parere positivo al Ddl. L’Osce ha accolto con favore la regolamentazione delle attività di lobbying in Italia, reputandola uno strumento importante nella lotta alla corruzione e garanzia di trasparenza e integrità nelle decisioni pubbliche.

Il disegno di legge introduce sostanzialmente un’unica importante novità: la costituzione del “Registro pubblico per la trasparenza dell’attività di relazione per la rappresentanza di interessi”. Quest’ultimo sarà gestito dall’Autorità garante per la Concorrenza e il Mercato e al registro dovranno iscriversi i lobbisti per svolgere le loro attività, garantendo così la trasparenza degli incontri con i decisori pubblici, elencando settimanalmente l’attività svolta e i risultati raggiunti. Nel testo unificato è previsto inoltre il divieto di finanziare in qualsiasi modo i decisori. A questo registro, secondo il testo approvato in Commissione, non potranno iscriversi né i parlamentari durante il mandato né chi ha avuto incarichi di governo nazionale o regionale per un anno dalla la cessazione del mandato.

Questo provvedimento, pur rappresentando sicuramente un passo in avanti verso una migliore regolamentazione delle attività di lobbying, ha tuttavia margini di miglioramento. Come ha rilevato anche l’Ocse, il disegno di legge presenta uno sbilanciamento in termini di obblighi per i portatori d’interessi, siano essi soggetti privati, imprese o Ong.

Sarebbe opportuno, invece, prevedere anche per i decisori pubblici, primi responsabili del processo decisionale, regole d’ingaggio equilibrate. Una evidente criticità del disegno di legge riguarda la mancanza della reciprocità: le consultazioni pubbliche, ad esempio, non dovrebbero essere una scelta arbitraria del legislatore, ma seguire le fasi dell’iter legislativo sin dall’inizio e poi quelle successive, cioè quando la norma diventa operativa. Il testo potrebbe poi essere ulteriormente migliorato nella parte che riguarda i soggetti coinvolti nell’attività di lobbying: è fondamentale stabilire quali siano gli attori, per evitare che alcuni operino in zone d’ombra, al limite della legalità se non addirittura oltre.

Nella categoria di “decisori pubblici” dovrebbero infine essere indicati i parlamentari, i membri del governo e i loro più stretti collaboratori e comunque tutti i funzionari pubblici, ad oggi non presenti nel Ddl, che possono diventare destinatari di lobbying. Sarebbero quindi ancora necessari interventi di miglioramento nella stesura del Ddl, ma è innegabile l’importanza del lavoro svolto sino ad ora per consegnare al Paese un provvedimento che dia all’ordinamento italiano la capacità di aumentare il livello democratico, riducendo i problemi endemici della corruzione e legittimando il lavoro fondamentale dei portatori d’interessi.

Per approvare questo provvedimento serve una politica forte, che riconosca la rappresentanza degli interessi come un processo democratico finalizzato alla costruzione dell’interesse generale, senza più utilizzare fantomatiche lobby come parafulmine da chiamare in causa per giustificare una decisione o una mancata decisione.

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