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A Vienna si lavora sul Jcpoa, mentre Usa e Israele studiano un piano B

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Ora o mai più per l’accordo sul nucleare iraniano? Nuovi colloqui nella capitale austriaca, mentre in quella statunitense arrivano il ministro della Difesa israeliano Gantz e il capo del Mossad

Davanti alla “forte motivazione” delle potenze occidentali verso un nuovo accordo nucleare con l’Iran, Israele ha per loro un unico messaggio: “L’Iran è suscettibile alla pressione; non revocare le sanzioni e non accettare un cattivo accordo”. È quello del primo ministro Naftali Bennett e del ministro degli Esteri Yair Lapid. Quello che il ministro della Difesa Benny Gantz e del capo del Mossad David Barnea stanno portando in queste ore a Washington.

Parole di una fonte diplomatica citata dal Jerusalem Post che sembrano confermare due cose: c’è frustrazione nel governo israeliano per gli sforzi di alcuni Paesi occidentali (questione che Gantz ribadirà all’omologo statunitense Lloyd Austin e al segretario di Stato Antony Blinken); Israele non permetterà all’Iran di avere l’arma nucleare, come ha recentemente ribadito Barnea – “è la mia missione, la missione del Mossad” – che dovrebbe presentare materiale aggiornato sull’impegno di Teheran in quella direzione al direttore della Cia Bill Burns e al consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan.

Difficile indicare un obiettivo singolo per la visita — Israele sarà il viceré statunitense in Medio Oriente, e gode di relazioni speciali con Washington — tuttavia la contingenza c’è. Mentre Gantz atterrerà nella capitale statunitense, a Vienna riprendono i negoziati per provare a ricomporre il Jcpoa, l’accordo per il congelamento del programma nucleare iraniano.

Fonti informate descrivono la situazione “now or never”, perché un’iniezione di pragmatismo potrebbe portare il presidente conservatore Ebrahim Raisi a far sbloccare lo stallo prodottosi dopo (e in parte prima) la sua elezione. La scorsa settimana c’è stato un primo approccio, i negoziatori della nuova presidenza iraniana su sono seduti per la prima volta al tavolo; hanno mostrato i loro punti di vista (aggressività e debolezze insieme); hanno ricevuto in cambio una posizione severa sia dall’Unione europea, sia da Russia e Cina (angoli del tavolo negoziale su cui Teheran punta per ottenere qualcosa di più).

Del Jcpoa hanno parlato anche Joe Biden e Vladimir Putin nel loro incontro virtuale di martedì: la Repubblica islamica pensava che potesse essere campo di frizione, è possibile che (al di là della retorica e delle posizioni tattiche) nel lungo termine l’Iran che diventi un terreno utile di contatto tra i due leader. Al momento tutto spingono per ricomporre l’intesa, perché la stabilizzazione che potrebbe uscirne è utile per tutti. Questa è una realtà con cui Israele deve confrontarsi.

A Gerusalemme ormai si è arrivati alla doppia consapevolezza che l’accordo sarà rimesso in funzionamento e che la linea tenuta finora (le attività per sabotarlo) non hanno portato quindi al risultato auspicato. Allo stesso tempo lo Stato ebraico si rende conto che non esiste un piano B operativo, ossia — per quanto noto — non c’è un’intesa sul procedere con azioni aggressive contro gli impianti nucleari iraniani se Teheran non dovesse tornare nell’intesa con gli Stati Uniti. Questo però non significa che un’opzione del genere non ci sarà mai.

Anzi, l’obiettivo israeliano potrebbe essere anche quello di prendere tempo per costruire per trovare una sintesi su un piano simile; aspetto che potrebbe essere anche nell’interesse statunitense davanti a un Iran che sembra voler muovere da posizioni di forza quasi sottovalutando la possibilità di questo genere di piano B. La linea su come gestire la pratica con Washington è parte del dibattito interno della politica israeliana.

Infatti, come ha raccontato Axios.com, il governo israeliano ha iniziato a dividersi sulla gestione del dossier nucleare iraniano. Può ritenersi soddisfatto dello stallo a Vienna, finché questo porta a più sanzioni sull’Iran e offre tempo per preparare il piano B. Ma il timore di Gantz e Lapid è che questa fase possa essere più pericolosa di un ritorno all’accordo del 2015. Da una parte ci sono loro due, convinti della necessità di mantenere bassi i toni con gli Stati Uniti. Dall’altra c’è Bennett, che, rimangiandosi le promesse di inizio governo, ha adottato verso Washington una linea di netta e dichiarata opposizione a ogni colloquio con l’Iran. I ministri temono lo scontro. Anche per ragioni personali, con Lapid che sta cercando di mantenere il feeling con Washington in vista della prevista alternanza con Bennett.

(Foto: Twitter @gantzbe)



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