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Phisikk du role – Quel centro che non c’è

Lo spazio politico c’è: riformista, liberal-democratico, solidarista. Ma ci vorrebbe uno come Draghi per fare centro. Draghi che, in tutta evidenza, ha ben altro da fare. La rubrica di Pino Pisicchio

La domanda è: basta oggi constatare che nel bislacco depositarsi delle ceneri ideologiche manca quella più bianco-centrista per battezzare l’epifania di una nuova Diccì? La mia risposta è no, non basta neanche un po’. E, per dirla con franchezza, non è che impressioni più di tanto il lavorio di alcuni che, con titoli antichi, da usato più o meno garantito, o con blasoni appena intinti nei colori della terza Repubblica, s’arrabattano per mettere bandierine. Il tema è vecchio, almeno quanto il tempo che ci separa dalla fine della prima Repubblica, anni luce fa, a volerli misurare con la velocità della politica, e dalla scomparsa dei partiti nel buco nero della comunicazione senza contenuto. Per meglio comprenderci semplificando: certo che esiste uno spazio politico, forse anche grande, al centro dello scacchiere nazionale, ma questo non significa che automaticamente, issato il pennone, è fatto il partito… nossignore!
Chi pensa questo s’e’ perso qualcosa degli ultimi trent’anni di storia italiana, in cui si sono verificati tre o quattro eventi decisivi. Del primo si è fatto cenno: la scomparsa della forma-partito, intesa come struttura ideologica e organizzativa democratica e popolare, coi suoi congressi e i suoi vertici contendibili. Il secondo è una conseguenza: ciò che chiamiamo partiti altro non sono che dei contenitori, spesso del tutto privi di identità culturale e programmatica, a servizio di un leader. Li abbiamo vissuti così per gli ultimi trent’anni ed oggi diventa un po’ difficile aggregare gente attorno ad idee se non c’è la figura carismatica. Il terzo sono i sistemi elettorali, serventi – con l’abolizione della scelta dal basso e la consegna della rappresentanza, mani e piedi, al capo – la trasformazione in chiave cesaristica dei partiti. Anche del quarto s’e detto: la sostituzione del contenuto politico con la confezione fatta dai media: si vince, si perde, solo per un’emozione. Con lo stesso criterio con cui si compra al supermercato.
Torniamo al tema e proviamo a rispondere secondo l’ordine di priorità imposto dalla cronaca. Chi fa il capo? Berlusconi, Renzi, Calenda, Mastella, Toti o i numerosi altri che s’intestano un brand più o meno nuovo con ciuffetti di parlamentari in parcheggio nel gruppo misto in attesa del miracolo della rielezione? Nessuno è riconosciuto dagli altri come leader indiscusso e, oltretutto, nessuno soffre della mancanza di autostima, ma, magari, della sindrome inversa. Come la mettiamo? E poi, ad eccezione di Berlusconi, che però sembra preso da altri pensieri ed altri palazzi, chi ha la forza mediatica ed organizzativa (ed economica) per disseminare il nuovo soggetto per gli ottomila e passa comuni italiani? E ancora: va bene che è un centro, e dunque, trova in sé le ragioni per esistere, ma se non fa i numeri della DC (e la vedo duretta…) ha due problemi parecchio impegnativi.
Il primo è la legge elettorale, che probabilmente resterà quella che è, appena riveduta per adattarla al nuovo parlamento bonsai: lo sbarramento per ottenere seggi, in partenza del 3%, sale di due/tre punti per mera aritmetica, cosa che suggerirebbe di fare bene i conti, soprattutto a formazioni che non partono con dotazioni importanti. Il secondo riguarda le alleanze che, con una legge elettorale che prevede ancora collegi uninominali, comporta la stipula di contratti coalizionali preliminari. E allora con chi? Destra o sinistra?
Certo, lo spazio politico c’è: riformista, liberal-democratico, solidarista. Ma ci vorrebbe uno come Draghi per fare centro. Draghi che, in tutta evidenza, ha ben altro da fare.
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