Una certa narrazione occidentale continua a dipingere Vladimir Putin come imprevedibile. E invece è quanto di più prevedibile esista. Per questo l’Occidente non deve cadere nell’ennesima trappola al confine ucraino. L’analisi di Oxana Schmies del Center for European policy analysis (Cepa)
Cosa sta pianificando Putin? Cosa ha in mente? Attaccherà o meno l’Ucraina con ben 175.000 truppe al confine sud-occidentale russo e in Crimea? Quasi ogni giorni i piani di una possibile invasione dell’Ucraina sono pubblicati dai giornali europei. Il periodo delineato va da gennaio a febbraio. Da settimane gli esperti militari si chiedono se un’invasione sia possibile.
Anche i servizi di intelligence sono al lavoro, con la scansione invisibile del terreno e delle onde aeree grazie alla più sofisticata tecnologia di sorveglianza militare, mentre la Nato ha nel frattempo riunito i ministri degli Esteri a Riga.
Da tempo le menti più brillanti del mondo cercano di comprendere come funzioni la mente di Vladimir Putin. Qualcuno è andato oltre, cercando perfino di scavare nel suo subconscio. Al Forum per gli investimenti di Mosca del 30 novembre gli hanno addirittura chiesto cosa lo tenga sveglio di notte. Nonostante ciò, dopo due decenni al potere, l’Occidente riesce solo in parte a prevedere le prossime mosse del presidente russo. Lo conosciamo davvero meglio di quando è entrato in carica nel 2000?
Quasi 22 anni dopo, tutti cercano di entrare nella testa di Putin, capire cosa stia provando e pensando. E non sbagliano: si può fare. Semplicemente trascuriamo spesso le informazioni di cui siamo già in possesso. L’amministrazione Biden ha definito una relazione ideale tra Russia e Stati Uniti come “stabile e prevedibile”. Ecco cosa è oggi davvero prevedibile.
Prevedibile è il continuo tentativo di Putin di utilizzare narrazioni che appartengono al passato, perché al presente non ha nulla da offrire, specialmente al suo Paese. Prevedibile è la costante ricerca di nuova instabilità in Europa. Prevedibile è la pretesa di ricevere le attenzioni del presidente americano di turno, per poi accordarsi e incontrarsi.
La ragione principale dietro questa prevedibilità è da cercare all’interno della Russia. Nel sistema cleptocratico che Putin ha contribuito a costruire. Nell’inefficienza dell’economia russa. In un Paese che non vede il futuro ma vive di miti del passato. Nel declino della sua reputazione internazionale, nonché della popolarità personale di Putin.
La scommessa più intelligente da fare è convincersi che Putin indulgerà ancora una volta nelle sue vecchie, prevedibili abitudini. E nello stesso modus operandi verso l’Occidente: coercizione, bluff, ricatto. Un comportamento che richiederà risposte attentamente ponderate, una strategia militare, un’azione transatlantica coordinata (e una spesa significativa). Serve per minimizzare i costi futuri (ad esempio, il rischio di nuovi dispiegamenti militari) anche se, naturalmente, non sarà facile.
È necessario tanto più alla luce degli eventi in corso vicino al confine ucraino. Così come è necessario differenziare tra minacce reali e provocazioni, tra contromisure a breve e a lungo termine.
– Si tratta davvero di un’invasione, perfino di un’occupazione dell’Ucraina? No: l’Ucraina non è l’obiettivo in sé. Il vero obiettivo è la creazione di instabilità all’interno dell’Ucraina e della Nato. Insieme a un’impennata di popolarità di Putin in Russia per le eventuali concessioni che Biden e la Nato saranno disposti a fare.
– Nato ed Europa dovrebbero impegnarsi in un confronto serio, eventualmente anche militare con la Russia? Naturalmente la risposta è no. Ma forse è inutile porre la domanda, perché, nonostante le dichiarazioni di Putin, non è cambiato assolutamente nulla nella costellazione Nato-Russia. Il presidente russo sta semplicemente montando la sella a un vecchio cavallo, senza profondersi in nuovi sforzi intellettuali. Usa la chimera dell’allargamento a Est della Nato per chiedere ricompense cui, a suo parere, la Russia avrebbe diritto. Argomenti che, all’interno della Russia, funzionano in modo eccellente. Perché danno una giustificazione alle sue aggressioni.
– Il recente dispiegamento di truppe costerà al Cremlino fino a 10 miliardi di rubli (134 milioni di dollari), come stimato da Vladimir Milov, economista dell’opposizione, consigliere di Alexey Navalny. La Russia può permetterseli: il costo non è il vero problema. Bisogna chiedersi piuttosto perché Putin ha bisogno di usare l’esercito in un modo così goffo. E la risposta è che minacciare i vicini è l’unica politica che Putin conosce. Ha un prezzo? Sì. Perché si può forse forzare un “dialogo” con Europa e Stati Uniti, ma anche chi simpatizza con il comportamento con Mosca fatica a far valere le sue ragioni alla luce della sfiducia che le aspirazioni imperiali, la politica estera aggressiva e la guerra ibrida hanno generato verso il Cremlino.
– Per l’Occidente, sarebbe un errore anche solo avviare una discussione sull’allargamento della Nato. Come sarebbe un errore chiedersi cosa potrebbe convincere Putin di una de-escalation e ad evitare un intervento militare in Ucraina. Non farebbe altro che incoraggiare Putin a rafforzare ed estendere le sue richieste. Oltre a una constatazione evidente: mettere in discussione l’ordine post-bellico europeo oggi non è fattibile, né tollerabile. Meglio ricordare piuttosto che ventisette anni fa, nel dicembre del 1994, Russia, Ucraina, Stati Uniti e Regno Unito hanno firmato il Memorandum di Budapest con solenni promesse di rispettare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina.
Quel memorandum è stato egregiamente calpestato dalla Russia nel 2014. L’Occidente fa bene dunque a sottolineare il totale, manifesto disprezzo della Russia per il diritto internazionale e ad esigere che rispetti le promesse fatte.
– Sarebbe un errore intensificare gli sforzi per portare l’Ucraina nella Nato in risposta a questa crisi provocata dal Cremlino. La questione dell’adesione è di lungo termine e implica prima un piano d’azione, che l’Ucraina non ha ancora. Non ha senso credere che un’adesione rapida dell’Ucraina possa risolvere questa crisi.
– L’Occidente ha anche bisogno di reimparare alcune vecchie lezioni. Dal momento che dovrà parlare con Putin, che usa il linguaggio della diplomazia coercitiva, compresa “la volgare retorica della guerra fredda” (come dice il suo ex consigliere per la sicurezza Gleb Pavlovsky) una diplomazia occidentale più coercitiva potrebbe essere una risposta adeguata. Purché sia reinterpretata alla luce dei fatti recenti. Individuare, come ha suggerito il Segretario di Stato Antony Blinken, una “connessione tra la repressione interna (russa, ndr) e l’aggressione transfrontaliera” è un (primo) passo verso una diplomazia che potenzialmente efficace nei confronti di Putin.
– Dato il continuo dibattito sulla sovranità (militare) europea e la bussola strategica recentemente introdotta dall’Ue, l’escalation militare di Putin fornisce un’opportunità per siglare un accordo concreto tra l’Ue e la NATO. L’obiettivo dovrebbe essere quello di elaborare una strategia a medio termine che offra soluzioni sul dispiegamento di materiale e personale con le competenze necessarie nel più breve tempo possibile. Potrebbe anche implicare una possibile azione militare coordinata a livello Ue-Nato come soluzione di risposta rapida, nel caso di una violazione dei confini di Paesi europei non appartenenti alla Nato e o all’Ue.
Le “crisi pop-up” create o istigate da Putin, come quella che stiamo vivendo ora, sono destinate a ripetersi. Le strategie a breve, medio e lungo termine per contrastarle devono essere elaborate dalla Nato e dall’Ue in stretto coordinamento. Sono un investimento, oggi quantomai necessario, sul futuro della sicurezza europea.