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Rebus Libia. A quando le elezioni? Le ipotesi dell’amb. Marsilli

Di Marco Marsilli

Il rinvio delle elezioni in Libia è solo l’ultimo passaggio di un lungo e difficile percorso, forse più complicato di quanto ci si aspettasse. L’ambasciatore Marco Marsilli, già capo della Rappresentanza permanente presso il Consiglio d’Europa e consigliere scientifico della Fondazione Icsa, fa il punto sul complesso scenario

L’annuncio da parte del responsabile dell’Alta commissione elettorale, Imad Al Sayeh, del rinvio delle consultazioni presidenziali libiche, fissate per il 24 dicembre, ha rappresentato l’epilogo, peraltro da tempo atteso, di un percorso ad ostacoli rivelatosi decisamente più improbo ed ostico di quanto immaginato dalla comunità internazionale che, per svariate ragioni e interessi, è coinvolta nelle complesse vicende istituzionali del Paese mediterraneo.

Nel lodevole intento di accelerare la stabilizzazione della tormentata area geografica, i 17 partecipanti alla “Conferenza di Berlino” (sul fronte europeo Germania, Italia e Francia, a fianco di Egitto, Turchia, Russia, Tunisia, Algeria e Emirati Arabi e altri) avevano, nel giugno scorso, identificato in quella data la sussistenza di condizioni atte a consentire la tenuta di elezioni “libere, inclusive e sicure”. Insomma, se non proprio “fair and free” secondo i più rigorosi criteri di monitoraggio applicati in ambito Osce o Consiglio d’Europa, almeno esenti da condizionamenti suscettibili di causare una chiara alterazione del voto.

Né dalla successiva Conferenza di Parigi, svoltasi sostanzialmente nello stesso formato poco più di un mese fa, erano emerse scadenze temporali diverse, pur in presenza nel testo del comunicato finale di qualche preoccupazione collegata all’approssimarsi dell’evento.

La scommessa (o, meglio, l’azzardo) di tali Nazioni è risultato viziato – come oggi a tutti evidente – da un eccesso di “superficialità”. Anche a voler anteporre le considerazioni, in teoria condivisibili, tendenti a “legittimare”, tramite il ricorso al voto popolare, centri di potere che in Libia sono spesso in aperto, reciproco contrasto, non vi è dubbio sul fatto che l’esportazione delle regole di pluralismo e democrazia, così come conosciute in Occidente, non rappresenti un esercizio di facile applicazione in differenti contesti, esigendo cautela, gradualità e anche capacità di adattamento alle realtà locali di “inserimento”.

In effetti, a una visione oggettiva della realtà sul campo, nessuna delle condizioni minime per lo svolgimento di elezioni “corrette” era in realtà presente, e questo ininterrottamente da Berlino in poi. A titolo di sintetico elenco, non certo sul piano della sicurezza interna, tenuto conto del fatto che solo pochi giorni fa, a causa di un avvicendamento militare a Tripoli, gli uffici del Primo Ministro, del dicastero della Difesa e del Consiglio presidenziale erano stati circondati per alcune ore da reparti in armi con intenzioni non proprio rassicuranti.

Neppure sotto l’aspetto della smobilitazione, a più riprese sollecitata anche dalle Nazioni Unite, delle consistenti milizie a suo tempo inviate in primo luogo da Federazione russa e Turchia per sostenere i propri protetti, il generale Khalifa Haftar nell’est del paese e l’allora presidente “riconosciuto” Fayez al-Serraj in Tripolitania. A eccezione di qualche limitato ritiro “cosmetico”, il grosso di entrambi gli schieramenti continua da sempre saldamente acquartierato in territorio libico.

Il “cahier de doléances” non risparmia neppure il profilo normativo interno. Prima del rinvio, non appariva del tutto chiara l’articolazione fra le elezioni presidenziali (su due turni) e la successiva fase parlamentare. Ambiguità analoghe concernono anche la presentazione dei candidati. Con l’attuale premier Abdulhamid Dbeibah in bilico a causa della formale incompatibilità con il mandato attualmente rivestito, il “ripescaggio” di Saif al Islam Gheddafi, figlio in qualche modo “presentabile” del dittatore di cui ricorre in questo periodo il decennale della destituzione e violenta morte, nonché la presenza fra i “papabili” del signore della Cirenaica, il generale Hafter, introducono inevitabilmente nella futura campagna elettorale ulteriori elementi di radicalizzazione

Al momento non è dato conoscere la nuova data per il ricorso alle urne. Per quello che possono significare, fra gli “addetti ai lavori” circolano, due ipotesi. La prima, a breve scadenza, farebbe propendere per elezioni prima del Ramadan, che quest’anno inizia nel mese di aprile. Secondo i fautori di tale impostazione, si tratterebbe sostanzialmente di assicurare una migliore situazione “ambientale”, nel riconoscimento di non poterla radicalmente cambiare (in meglio).

La seconda contempla invece tempi più lunghi, partendo dal riconoscimento che le precondizioni sopra evocate devono essere tutte attuate prima di poter legittimamente avere ricorso al voto. La stessa base giuridica, la legge elettorale, dovrebbe essere sottoposta a verifica in quanto nella presente formulazione approvata dal parlamento di Tobruk ma non dal Consiglio di Stato. Soprattutto nel caso di rinvio prolungato, un problema sorge con l’attribuzione di una estensione al mandato di Primo Ministro, che viene a scadenza proprio il 24 dicembre. Che Dbeibah sia incaricato di tale «interim» appare tutt’altro che scontato.

Questi, e altri, sono i temi (e gli interrogativi) ai quali dovrà tentare di dare una risposta il nuovo Consigliere speciale per Nazioni Unite, Stephanie Williams, nominata a inizio dicembre dal Segretario generale Antonio Guterres. È certo che la diplomatica dovrà dare fondo alla rilevante esperienza accumulata nei precedenti incarichi nell’area, per poter delineare una strategia accettabile. Per essere coronata da successo, appare infatti inevitabile ottenere l’assenso di tutte le parti in causa.

Quanto all’Italia, della quale non ci stancheremo mai di sottolineare i fortissimi interessi, politici, economici e sociali e di altra natura, che sono collegati a una auspicata stabilizzazione del territorio libico, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha ricevuto la settimana scorsa a Roma, nell’ambito dei costanti rapporti con quella capitale, l’omologa libica Najla Al Mongush.

Nell’occasione è stato ribadito l’impegno delle nostre autorità per una molteplicità di obiettivi, quali il ritiro dal paese dei contractor militari stranieri, una più stretta cooperazione con le istanze delle Nazioni Unite e, per l’appunto, la soddisfacente conclusione del processo elettorale. Propositi pienamente condivisibili ma (l’esperienza sul terreno lo ha chiaramente dimostrato) sui quali occorrerà stabilire un preciso calendario e un ordine priorità, in quanto congiuntamente non realizzabili.

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