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Il lato oscuro del Romanzo Quirinale. Ceccarelli racconta

Di Gian Marco Sperelli

Altro che unità nazionale e tricolore. Ci sono pagine della storia repubblicana che raccontano corse al Colle caratterizzate da molto poco fair play. Ceccarelli le conosce e le racconta in un convegno della Lumsa, dall’amaro di Pajetta alle monetine per La Malfa

Tra i grandi esperti delle corse per il Quirinale, oltre al direttore dell’Espresso Marco Damilano autore di un fortunato podcast su alcune delle più tormentate elezioni presidenziali repubblicane, una menzione speciale la merita Filippo Ceccarelli. Giornalista parlamentare dalla fine degli anni ’70, Ceccarelli è un archivio vivente della storia politica repubblicana. Un archivio riaperto in occasione del convegno dedicato alla storia delle elezioni presidenziali in Italia organizzato dalla Lumsa di Roma il 15 dicembre dal titolo: “L’elezione del Presidente della Repubblica. Regole, prassi ed esperienze.”

Al di là della retorica un po’ stantia dell’unità nazionale agitata regolarmente dal leader politico di turno, le elezioni per il Colle – questo il fil rouge degli interventi dei professori Rinella, Midiri, Ciaurro e Olivetti coordinati dal rettore e storico Francesco Bonini – sono un momento di lotta politica, spesso drammatica. Un delicato esame degli equilibri politici del Paese. In gioco infatti non c’è una carica di cerimoniale o rappresentanza, ma una figura al centro dell’ordinamento costituzionale con reali poteri di intervento sul sistema politico. Con buona pace della intrigante ma forse poco credibile teoria della funzione “a fisarmonica” del Presidente della Repubblica. Il “romanzo Quirinale” di Ceccarelli racconta un’altra storia.

“Le elezioni per il Quirinale sono una gara di furbizia politica. Meglio ancora, sono la rappresentazione della politica stessa: un continuo ricorso a cavalli di troia per giungere al proprio obiettivo”. In effetti, le campagne elettorali per il “colle più alto” sono anche una cronistoria di grandi candidature politiche affossate nel giro di pochi scrutini.

“È la storia di Prodi nel 2013, eletto Papa nel conclave del Pd, per poi essere impallinato dai franchi tiratori, prima del drammatico epilogo con la scelta per il Napolitano bis. Ma lo stesso discorso vale nel 1992 per i due cavalli di razza democristiani Andreotti e Forlani. Il primo candidato coperto fino all’ultimo, ma mai realmente in partita anche per la strage di Capaci. Il secondo, invece, ad un passo dall’elezione, sfuggita per una manciata di voti, ma accettata con una serenità ascetica ineguagliabile, come confidatomi in quei giorni dallo stesso Fanfani, il padre politico di Forlani.”

La storia delle elezioni presidenziali è per Ceccarelli soprattutto una sorta di anatomia della natura antropologica degli italiani. Una rappresentazione realistica di vizi e virtù del popolo, con due poli opposti che si avvicendano: il registro comico-grottesco e quello del melodramma. “ Dal bicchiere di Cynar, offerto dal comunista Pajetta, al Presidente del Consiglio Mario Scelba per fargli digerire l’elezione del suo rivale Giovanni Gronchi nel 1955. Allo sputo sulla scheda elettorale da parte di un deputato comunista per quel voto dato obtorto collo a Saragat nel 1964, a ricordarci del peso della Guerra Fredda e del ruolo del Capo dello Stato nella collocazione strategica italiana. Passando per il “primo lancio” di monetine della storia repubblicana nei confronti di Ugo La Malfa da parte dei comunisti per aver votato Leone nel 1971. Senza dimenticare il grottesco episodio sulla scorta di prosciutti buttati nel macero per via dell’elezione rapidissima di Cossiga, al primo scrutinio e in meno di due ore,  nel 1985.”

Montecitorio tramutato in un grande teatro shakespeariano oppure nella sala di uno spettacolo per prestigiatori, come nel caso ricordato sempre da Ceccarelli del quindicesimo scrutinio nelle elezioni del 1992, quando improvvisamente saltarono fuori cinque schede in più durante la votazione.

“Anche in tempi di pandemia, le prossime elezioni – chiude il cronista – saranno ancora una volta una gara di astuzia e di sottotrame politiche. Non mancheranno le sorprese, pur con le solite smentite dei politici di fronte ai microfoni. Siamo comunque il Paese in cui Berlusconi potrebbe essere il candidato “di bandiera” del centro-destra.”



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