Il leader leghista non sembra ancora aver trovato gli strumenti per reagire e riprendere in mano il partito, la base elettorale, le sue tematiche. Per trovarli, e per metterli in pratica, serve tempo e costanza. L’analisi di Martina Carone, Quorum/YouTrend e docente di Analisi dei media all’Università di Padova
C’è una vignetta piuttosto famosa che, ogni mercoledì, viene condivisa su Twitter: “It’s been a long week, uh?” – afferma il Capitano. “Capitan, it’s wednesday”, risponde Tin Tin. Viene pubblicata proprio ogni mercoledì, per suscitare l’amara ilarità delle migliaia di utenti che la retwittano condividendo lo stato d’animo dell’avvinazzato capitano, talmente poco sobrio da non rendersi conto – a causa dell’alcool che gli è venuto in soccorso – che davanti a sé c’è ancora molto tempo per chiudere la settimana.
La vignetta sembra una perfetta sintesi di ciò che gli ultimi anni sono stati per Matteo Salvini: dalla scellerata crisi agostana del 2019, infatti, ogni anno il leader della Lega sembra essere messo in posizioni peggiori rispetto a quella precedente, e il calo inarrestabile del consenso verso il suo partito sembra confermarlo. L’esclusione dal governo Conte II, l’arrivo della pandemia, la sua gestione e dei suoi effetti da parte di due governi percepita come buona da una maggioranza degli italiani, così come la scelta di entrare nel governo Draghi sono solo alcuni dei passaggi che l’hanno costretto a mettersi in discussione, costringendolo a ricalibrare le issue e il posizionamento del suo partito sulla base di un’opinione pubblica volatile ma non eccessivamente critica nei confronti dei governi in carica e provando a imporsi in un’agenda mediatica che, da mesi, non lo agevola.
Quest’ultimo punto è il cardine della sua difficoltà, e c’è un momento simbolicamente emblematico che racconta il dilemma del leader leghista: la foto, condivisa il 23 luglio (quindi nel pieno della gestione Figliuolo) punta a far vedere il dito mentre subito dopo c’è la luna: Salvini è ritratto con un caffè in mano e, in pieno stile salviniano, parla della necessità di bilanciare interessi diversi. E saluta gli utenti con un “vi si vuole bene amici”. Ma, c’è un ma: sotto alla mascherina, in una posizione che ricorda un morettiano mi si nota di più se lo metto in primo piano o se lo nascondo un po’, spunta un QR code (stampato su un foglio della Regione Lombardia, per cui non il menù del ristorante) che sembra tanto un Green pass.
La foto è evidentemente strutturata proprio per lanciare quel messaggio specifico, presumibilmente in risposta alle parole di Mario Draghi (che proprio il giorno stesso, in conferenza stampa, affermò che “l’invito a non vaccinarsi è un invito a morire” in risposta a ci chiedeva al presidente del Consiglio un commento allo scetticismo dei no-vax, cavalcato da Lega e Fratelli d’Italia). Sui social media la reazione è immediata: Salvini s’è vaccinato!, Salvini ha il Green pass! Con aggiunte varie di “Salvini è ambiguo ma poi aderisce alla campagna!” e “Salvini è un farabutto!”. Ma il vero protagonista di quella foto non era infatti il suo vaccino (o il tampone negativo che gli dava diritto alla certificazione verde temporanea di 48 ore), ma la sua difficoltà politica.
Con quella foto, Salvini provò a tornare al centro del dibattito politico da una posizione sfortunata e svantaggiata, in bilico tra la propria base elettorale nervosa, una campagna vaccinale con percentuali di adesione importante, un’opinione pubblica sostanzialmente favorevole alle proposte governative osteggiate dall’interno da Salvini, la contrapposizione con Giorgia Meloni, al tempo – come oggi – in ascesa verticale e con un posizionamento politico, forte del ruolo di opposizione, fortemente critico e vicino alle teorie no vax.
Dopo quella foto, le cose non sono cambiate: i tentativi di spostarsi su argomenti più vicini e capaci di compattare il proprio elettorato, come immigrazione, sicurezza e temi economici, non han funzionato come prima, lasciando il campo delle critiche sulle tematiche economiche e sulla gestione dei fondi del Pnrr al competitor principale, FdI; intanto, la leadership salviniana non era mai stata messa così in discussione come prima: l’ascesa di leader locali (ma dal rilievo nazionale, come quelle di Zaia e Fedriga), così come le bordate di Giorgetti sulla campagna elettorale romana e le perplessità sui candidati alle principali città capoluogo, sono esplose durante la tornata delle amministrative, che han messo in difficoltà gli accordi interni del centrodestra e non agevolano la capacità contrattuale di Salvini in vista Quirinale.
Un 2022 che si apre con enormi sfide, e un 2021 che, immaginiamo, si chiude con il segno meno e con un calo dei consensi: secondo la SuperMedia YouTrend, a gennaio la Lega era il primo partito con il 23,5% dei consensi, mentre oggi è il partito che perde più punti percentuali (-4,5), e si ferma in terza posizione con il 19% di intenzioni di voto. Cioè dopo il Pd (21,3%) e FdI (19,6%).
Il leader leghista non sembra ancora aver trovato gli strumenti per reagire e riprendere in mano il partito, la base elettorale, le sue tematiche. Per trovarli, e per metterli in pratica, serve tempo e costanza, serve trovare il modo di tornare al centro dell’agenda mediatica e politica, serve frenare l’ascesa di Meloni e serve trovare un segnale forte per placare le voci interne in dissenso.
Ce lo immaginiamo quindi al cenone di San Silvestro ascoltare l’ultimo discorso di Mattarella, piegato sul suo Mojito, girarsi verso il proprio commensale e pronuncia un sonoro e laconico: “What a year, uh?”.