Sanità, ascensore sociale, istruzione. Sono solo alcuni dei veri problemi che le fasce deboli della società italiana devono affrontare quotidianamente. Quale che sarà l’esito dello sciopero, è su questi temi che il gruppo dirigente del sindacato deve urgentemente riflettere. Il commento di Giuseppe Pennisi
Ricchi borghesi! Ancora pochi mesi!! È un saggio di Rainer Zitelmann, la cui traduzione italiana è stata appena edita dall’Istituto Bruno Leoni. Lo studio tratta dell’invidia sociale, di cui costruisce un indice che denota come molti pregiudizi nascano anche da un’errata percezione delle dinamiche economiche. Maurizio Landini avrebbe dovuto leggerlo prima di proclamare non solo dagli esiti molto incerti e che guarda al passato invece che al presente e al futuro.
Su Il Corriere della Sera del 15 dicembre, Dario De Vico ha sottolineato correttamente che le motivazioni presentate per lo sciopero di oggi riguardano essenzialmente il confronto-scontro tra capitale e lavoro: quale proporzione dei fondi disponibile nella legge di Bilancio 2022 utilizzare per aumentare i salari reali e quale per facilitare le imprese?
È una contrapposizione vecchia ove non vetusta, adatta come filo conduttore del film-epopea di Bernardo Bertolucci, Novecento, che peraltro trattava solo della prima metà del secolo scorso quando il capitale era principalmente agrario ed il lavoro era soprattutto bracciantato.
Oggi i problemi delle fasce deboli sono ben differenti. Il primo è l’accesso a sanità di qualità in aree dove non c’è. La pandemia lo ha dimostrato a tutto tondo. Cosa ha fatto la Cgil guidata da Landini perché tale divario venisse colmato? Ha richiesto a gran voce l’accesso ai 36 miliardi del Meccanismo europeo di stabilità oppure è stata pilatescamente silente? La pandemia ha anche messo in evidenza i problemi delle “convenzioni” dei medici di famiglia con il Servizio sanitario nazionale? La Cgil ha presentato proposte in materia? Ha chiesto maggiori fondi per il settore nel disegno di legge di Bilancio?
Di pari importanza è l’ascensore sociale. Da circa vent’anni, gli studi Ocse affermano che quello che era il veicolo tradizionale – l’istruzione – non funziona più, soprattutto al Sud. Ocse, Invalsi ed anche Unesco ne hanno individuato le determinanti principalmente nella cattiva qualità della docenza nelle scuole pubbliche al Sud, dove i figli dei ceti agiati vanno in scuole private (Gesuiti, Fratelli delle Scuole Cristiane e per i giovani con maggiori attitudini pratiche, Salesiani). La Cgil ha mai levato un grido di dolore in materia? Al contrario, si è arroccata in una campagna per la stabilizzazione (senza concorso e senza esame) di quei “precari della scuola” parte dei quali sono all’origine del blocco dell’ascensore sociale.
Altro problema delle fasce deboli è l’ambiente in cui vivono (quartiere, periferia, alloggio). Qui il nodo è complicato dall’immigrazione: italiani a basso reddito ed immigrati (regolari ed irregolari) competono per le stesse case popolari, per gli stessi servizi pubblici, per gli stessi trasporti. Sono parimenti preda della stessa criminalità organizzata che gestisce lo spaccio di droghe. Ci sono state proposte della Cgil in materia di housing sociale, di riassetto delle periferie, di metodi per trovare un equilibrio tra italiani a basso reddito ed immigrati?
Si potrebbero elencare altri temi essenziali per le fasce deboli in cui la Cgil è stata assente o – come nel caso della sanità e della scuola al Sud – dalla parte, forse senza volerlo essere, di quelli che Rainer Zitelmann chiama “Ricchi Borghesi”.
Quale che sarà l’esito dello sciopero, è una riflessione che il gruppo dirigente della Confederazione deve urgentemente fare.