Non è la prima volta che Stati Uniti e Unione europea valutano l’esclusione delle banche russe dal sistema internazionale per tentare di rispondere all’assertività di Mosca. Occhio, però, ai rischi, avverte The Economist. A partire dall’asse con la Cina
Durante il loro colloquio virtuale di questa settimana, Vladimir Putin e Xi Jinping hanno discusso anche di un’“infrastruttura finanziaria indipendente” per le operazioni commerciali dei due Paesi. Lo ha reso noto Yuri Ushakov, consigliere diplomatico del Cremlino, aggiungendo che i presidenti di Russia e Cina “si sono espressi a favore dell’aumento della quota delle valute nazionali negli accordi reciproci” al fine di “estendere la cooperazione e garantire agli investitori russi e cinesi l’accesso ai reciproci mercati azionari”.
Parole che sembrano una reazione a quella che Stati Uniti e Unione europea, restii a intervenire militarmente nell’Est Europa, considerano “l’opzione nucleare” in caso di invasione russa dell’Ucraina: l’esclusione delle banche russe dalla rete Swift, che collega più di 11.000 banche in oltre 200 Paesi in tutto il mondo.
L’Economist ha analizzato la possibilità ed è arrivato a una conclusione sui “costi nascosti del taglio della Russia da Swift”: “i nemici dell’America si precipiterebbero verso le alternative, accelerando il suo declino finanziario”.
“Premere un interruttore sembra più sicuro che mettere gli stivali sul terreno. Ma potrebbe avere conseguenze pericolose”, scrive il settimanale. Il precedente iraniano dimostra che gli sforzi statunitensi potrebbero aver la meglio anche sulle diffidenze di Paesi europei che fanno grandi affari con la Russia, a partire dalla Germania.
Ma ci sono almeno tre controindicazioni all’esclusione dal sistema della Russia, economia ben più grande di quelle che gli Stati Uniti hanno messo finora sotto embargo (Cuba, Iran e Myanmar, per citarne tre).
Primo: “danneggerebbe ma non paralizzerebbe la Russia”, che si sta preparando a questo scenario dal 2014, da quando ciò gli Stati Uniti l’hanno considerato dopo l’invasione della Crimea. Il sistema russo Spfs è già pronto.
Secondo: “imporrebbe dei costi all’Occidente”, visto per esempio che la Russia è il quinto partner commerciale dell’Unione Europea e che le banche europee hanno 56 miliardi di dollari di crediti verso i cittadini russi.
Terzo: “sarebbe controproducente a lungo termine”. Infatti, armare Swift contro la Russia potrebbe essere visto dalla Cina come una “prova generale”. E ciò accelererebbe la corsa di Pechino a rafforzare il suo sistema Cips. “Il suo volume medio giornaliero di transazioni di 310 miliardi di yuan (50 miliardi di dollari) rimane ben dietro i 400 miliardi di dollari stimati da Swift, ma è quasi raddoppiato nell’ultimo anno”, scrive l’Economist avvertendo del rischio che “il dominio finanziario dell’America” finisca “minacciato” seriamente.
Dunque, che fare? “L’America potrebbe, per esempio, mettere in lista nera le grandi istituzioni finanziarie russe, impedendo alle proprie banche di trattare con loro”, suggerisce il settimanale. Una mossa probabilmente “dirompente” per la Russia quanto un’esclusione da Swift ma senza il rischio di minare troppo l’architettura finanziaria globale. Anche in questo caso, però, il rischio di un ritorno di fiamma immediato rimarrebbe. E questo, conclude il giornale, “evidenzia un annoso dilemma” per l’Occidente “nel maneggiare le sanzioni economiche”.