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L’Ue vuole veramente bloccare la vendita di case con scarse prestazioni energetiche?

Di Franco D’Amore

La Commissione europea starebbe per licenziare una proposta di direttiva contenente il divieto di immettere sul mercato immobili con caratteristiche energetiche scadenti. Ma come ridurre significativamente le emissioni di gas serra degli edifici? L’intervento di Franco D’Amore, vicepresidente I-Com

La notizia è di quelle ghiotte, capaci di armare due eserciti ben schierati tra i bianchi paladini della difesa dell’ambiente a tutti i costi e i neri difensori degli interessi di speculatori senza scrupoli.

Più che una notizia – in realtà – si tratta di una indiscrezione: nell’ambito di un pacchetto di misure relative al contenimento delle emissioni di gas climalteranti, la Commissione europea starebbe per licenziare una proposta di direttiva contenente il divieto di immettere sul mercato immobili con caratteristiche energetiche scadenti.

Letta in questi termini, si potrebbe dire una notizia fatta uscire da un “mattone” (nel senso di persona particolarmente incline allo scherzo) più che sul mattone (utilizzato come sineddoche per indicare il mercato immobiliare).

Il vespaio che questa indiscrezione sta creando, ed indipendentemente dai dettagli implementativi fin qui filtrati, è però una occasione utile per riflettere su un tema cruciale ed estremamente attuale per attuare davvero la transizione energetica. Come ridurre significativamente, fino ad azzerare, le emissioni di gas serra degli edifici? In particolare, come rinnovare profondamente lo sterminato parco immobiliare esistente e largamente inefficiente dal punto di vista energetico? Chi e come deve finanziare questa trasformazione? Con quali strumenti?

Partiamo da alcuni dati: in Italia sono presenti circa 31 milioni di abitazioni per una superficie complessiva pari a circa 4 miliardi di m2 ed un valore patrimoniale stimato che supera i 6.000 miliardi di euro. L’85% dello stock immobiliare italiano è stato costruito prima del 1990, anno in cui sono entrate in vigore le prime normative in materia di efficienza energetica nel settore degli immobili. Inoltre, circa 1/3 degli edifici è stato costruito tra il dopoguerra e gli anni ’70, in un periodo in cui la qualità edilizia è stata spesso sacrificata alle dinamiche del boom economico. A riprova di questo, i dati elaborati da Enea circa gli attestati di prestazione energetica evidenziano come quasi l’80% degli edifici residenziali censiti ricada nelle ultime tre classi energetiche.

Visti questi dati, non sorprende come il mercato immobiliare italiano sia dominato da edifici di scarsa qualità energetica. Infatti, quasi il 70% degli immobili compravenduti nel 2019 appartiene alle ultime tre classi in termini di prestazioni energetiche (E, F, G), mentre solo il 12% ha una classe energetica elevata (A1-4 e B). È evidente quindi l’impatto dirompente che una ipotetica introduzione di norme restrittive sulle compravendite immobiliari legate alla classe energetica avrebbe sulle dinamiche di mercato. In più, se andiamo a segmentare i dati sulle transazioni immobiliari in funzione dell’ubicazione dell’abitazione, possiamo notare che, per gli edifici situati nelle zone di estrema periferia, le compravendite del 2019 si sono concentrate nelle classi energetiche meno performanti (77% nelle calassi G e F), mentre per gli edifici situati in zone di pregio, la percentuale di compravendite nelle classi più elevate (A1-4 e B) si attesta al 37%. Le ipotetiche norme che la Commissione europea vorrebbe introdurre avrebbero quindi un impatto più severo su una fascia di cittadini che – mediamente – dispone di minori risorse economiche per affrontare gli investimenti necessari ad una ristrutturazione profonda.

Un ulteriore tassello del ragionamento è rappresentato dalla grande disparità di condizioni che sperimenterebbe chi vive in un condominio, rispetto a quanti possiedono una abitazione singola o indipendente. È infatti estremamente più complesso eseguire ristrutturazioni profonde di edifici condominiali rispetto a edifici singoli. Sempre i dati Enea, infatti, mostrano come, a settembre 2021, delle circa 40.000 asseverazioni relative alla concessione delle detrazioni per il superbonus edilizio al 110%, solo il 13% sia relativo a edifici condominiali. Il tema della compravendita di immobili in edifici condominiali pone inoltre un tema di reale applicabilità della norma che – ipoteticamente – si vorrebbe introdurre. Infatti, come è possibile realizzare interventi di ristrutturazione profonda di una singola abitazione inserita in un contesto condominiale con scarse prestazioni energetiche? E, d’altra parte, come poter subordinare la compravendita dell’immobile ai lavori di ristrutturazione energetica dell’intero condominio?

In questo senso vale la pena riportare la stima del numero di abitazioni occupate da residenti in condominio in Italia, pari a circa 11 milioni (45% del totale) ed un numero di condomini pari a circa 1,2 milioni.

Imboccare la strada di imposizioni e divieti su un settore così delicato dal punto di vista sociale ed economico potrebbe non essere una soluzione efficiente ed equa. Più promettente, anche se più sfidante, sarebbe l’utilizzo di leve incentivanti. Prima tra tutte la leva della consapevolezza del maggior valore di mercato degli edifici con prestazioni energetiche più performanti che, ancora oggi, il mercato immobiliare fatica ad assegnare con meccanismi chiari e trasparenti.

L’imposizione di obblighi di ristrutturazione profonda degli edifici dovrebbe essere introdotta con ancor maggiore efficacia di quanto avvenga già oggi nel momento in cui una abitazione viene ristrutturata, piuttosto che nel momento della compravendita. È infatti la ristrutturazione la più rilevante finestra di opportunità per migliorane in maniera significativa le performance energetiche di un edificio e solo agendo su questa fase si potranno raggiungere i tassi di ristrutturazione necessari per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del settore immobiliare al 2030 e al 2050.

Sempre più centrale sarà, infine, il tema dell’accesso al credito per la realizzazione di interventi di ristrutturazione energetica profonda degli immobili, non essendo ipotizzabile il protrarsi degli attuali livelli di incentivazione per le riqualificazioni energetiche degli edifici.


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