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Talebani a Oslo. Cosa (non) va nei dialoghi con l’Occidente

Di Vas Shenoy

Dopo gli accordi tra Israele e Palestina, la Norvegia cerca di gettare le basi per i negoziati con i Talebani. Ma la situazione ben è diversa. Il commento di Vas Shenoy

Con l’inizio del nuovo anno, la Norvegia ha assunto la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il Regno è sempre stato portabandiera della pace, del progresso, dell’uguaglianza e dell’inclusione ed è anche sede del premio Nobel per la pace, considerato il più importante riconoscimento mondiale.

Anche per questo la convocazione di un incontro formale con una delegazione talebana da parte dei norvegesi appare una mossa estremamente confusa, che crea segnali contrastanti. Il tutto, nonostante abbiano sottolineato che l’incontro non rappresenti un riconoscimento del regime.

La Norvegia ha convocato questo incontro a Oslo, con tutte le maggiori potenze occidentali rappresentate, con l’obiettivo di discutere degli aiuti umanitari da fornire agli afgani sotto il controllo di un gruppo terroristico che punta alla repressione delle minoranze, delle donne e sulla distruzione del tessuto culturale di base della società afgana.

La ministra degli Esteri norvegese Anniken Huitfeldt ha sottolineato che la visita “non è stata una legittimazione o un riconoscimento dei talebani, ma vi è la necessità di discutere con chi oggi è al potere e governa il Paese”. L’affermazione di per sé è contraddittoria. Accettando che i talebani governino il Paese, il ministro degli Esteri sembra aver già fornito un tacito riconoscimento.

La Norvegia non è estranea alla diplomazia sensibile, un esempio di ciò è rappresentato dagli accordi di Oslo tra Israele e Palestina, che si sono conclusi con Fatah che ha finalmente riconosciuto lo Stato ebraico e creato un meccanismo di governo per un futuro Stato palestinese. Gli accordi di Oslo, allora faro di speranza, poiché sono stati controversi da entrambe le parti, alla fine si sono rivelati responsabili del doloroso stallo tra Israele e Palestina. Le ultime elezioni palestinesi si sono svolte nel 2006 e adesso la Palestina è divisa tra Hamas e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, complicando ulteriormente la spirale di violenza.

Uno dei primi atti della presidenza norvegese è stato quello di elevare il conflitto israelopalestinese a livello ministeriale e dichiarare la convocazione di una mini-Oslo per i membri del Consiglio di sicurezza sul conflitto israelopalestinese. Il ministro degli Esteri palestinese, Riyad al-Maliki, nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha accusato Israele di violenze e ha dichiarato di voler rifiutare una qualsiasi soluzione pacifica per i due Stati.

L’approccio adottato dal governo norvegese con i talebani sembra attingere all’esperienza degli accordi di Oslo. Sebbene in buona fede, le situazioni sono agli antipodi. L’ambasciatrice norvegese Mona Juul, presidente del Consiglio di sicurezza, sembra voglia applicare i principi di Oslo alla questione afgana. Ma gli accordi di Oslo non hanno risolto il problema palestinese e difficilmente un approccio simile potrebbe risolvere la questione afgana.

A differenza dell’Olp, i talebani non hanno nulla da guadagnare a livello territoriale o politico. La visita a Oslo insieme all’incontro con i rappresentanti di Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Unione europea viene perciò da loro considerato come un riconoscimento e una vittoria.

I talebani sono un’organizzazione terroristica, legata al Pakistan e senza alcuna intenzione di fare concessioni. Il loro unico obiettivo è ottenere l’accettazione dai Paesi occidentali in modo tale che i fondi bloccati dagli Stati Uniti e da altre potenze occidentali vengano rilasciati.

Il mese scorso, l’Iran ha ospitato un incontro tra Ahmad Massoud dell’Alleanza del Nord, Ismail Khan e una delegazione talebana, in cui era chiaro che la fazione dei talebani Loya Paktiya controllata dal clan Haqqani, legato al Pakistan e ai suoi servizi d’intelligence, non avrebbe mai accettato un governo di unità nazionale che coinvolgesse tutte le etnie e le fazioni afgane in un meccanismo di condivisione del potere.

Senza dimenticare un aspetto: la Norvegia ospita una grande comunità della diaspora pachistana. Ciò fornisce una fertile lobby per la narrativa pachistana sull’Afghanistan e potrebbe essere una ragione per cui la Norvegia, in questo frangente, ha cercato di impegnarsi sulla questione.

A differenza degli accordi di Oslo, non ci sono presupposti per cui i talebani dovrebbero accettare questa visita. Non vi è alcuna rappresentanza di altri membri della società afgana, politica o civile, nessun membro del governo di Ashraf Ghani o di altri leader afgani in esilio. Il tono della delegazione talebana è piuttosto trionfante poiché per loro si tratta di un colpo di Stato nelle pubbliche relazioni. Anche se dovessero tornare a mani vuote, ora sarebbero riconosciuti dall’Occidente come i governanti de facto dell’Afghanistan.

Questo incontro è perciò percepito dai talebani e dai loro alleati come la capitolazione dell’Occidente alla vittoria islamica. Se anche vi fosse stata qualche speranza di stabilire le precondizioni come tabella di marcia per gli aiuti, adesso è stata distrutta.

Ancora più intriganti sono le novità derivanti dall’incontro a Mosca di questa settimana tra Massoud, Amrullah Saleh, Salauddin Rabbani con i mullah Abdul Ghani Baradar e Mohammad Yaqoob, figlio del fondatore dei talebani. Nonostante le notizie non siano ancora state confermate, sembrerebbe che il ramo nazionalista dei talebani, Loy Kandahar, stia negoziando con le altre etnie senza la presenza degli Haqqani, che sono appoggiati dal Pakistan.

Anche la società civile pakistana si preoccupa che il proprio governo possa assecondare i talebani. “Più il Pakistan favorisce i talebani afgani, più si rafforzano il bandito Tehreek-i-Taliban Pakistan (TTP), il Tehreek-i-Labbaik Pakistan (TLP) e altri gruppi simili. Il sostegno del Pakistan al regime di Kabul non aiuta gli afgani in ogni caso”. Questa è stata la conclusione dell’attivista pachistana Asma Jahangir durante una conferenza su “Il caos in Afghanistan e il dialogo con le organizzazioni bandite” a Lahore.

Affinché aiuti e assistenza raggiungano il popolo afgano e non finanzino la futura jihad dei talebani è essenziale che la Norvegia stabilisca alcune condizioni di base, una delle quali potrebbe essere un meccanismo di monitoraggio composto da eminenti afgani che rappresentano tutte le etnie. Senza una posizione ferma infatti, la visita da parte dei talebani a Oslo finirà per distruggere ogni speranza per un futuro pacifico per l’Afghanistan e sembrerà quasi la “vittoria” dei talebani.

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