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Cosa resta del centrodestra. L’opinione di Zacchera

Una alleanza a destra a livello nazionale non c’era già prima, ma ancor meno potrà risorgere domani. A questo punto i veleni accumulati porteranno più facilmente ad una nuova legge elettorale in senso proporzionale

La rielezione di Mattarella ha sicuramente aspetti positivi: dà stabilità all’Italia in un momento di grande difficoltà, rinforza per un altro anno Draghi a palazzo Chigi e così fa sorridere l’Europa.
Era la scelta più ovvia ma sempre negata dall’interessato, che però – alla fine – ha detto “sì” nel tempo di un caffè dopo pochi minuti di corteggiamento, segno che in fondo se l’aspettava.

Sicuramente è stata la vittoria del Pd che doveva mantenere il risultato di partenza non avendo in mano i numeri per imporre altri giochi, ben sapendo però che gli avversari avevano ancora meno possibilità di vincere davanti ad una sfiancante risposta di “no” che infatti è proseguita per una lunga settimana. Alla fine Letta ha vinto per desistenza e dissoluzione altrui senza mai proporre un nome, senza mai doversi chiudere “a pane ed acqua” per prendere una decisione.

Chi esce sconfitto è sicuramente il centrodestra che voleva un cambiamento al Colle e non lo ha ottenuto.

Salvini ce l’ha messa tutta, si è comportato da bravo ragazzo alla ricerca di un nome accettabile con criteri razionali, logici, coerenti, ma non è stato forse abbastanza smaliziato da capire che dall’altra parte c’erano dei lupi (e dei Lupi) che tutto volevano salvo creare qualcosa che un domani potesse obbligarli ad una scelta di blocco.

Forza Italia e i gruppuscoli di centro il sistema maggioritario non lo vogliono più, meglio una piccola ma sicura rendita proporzionale che può significare una possibilità di rielezione futura per i singoli micro-leader che dover scegliere una posizione netta e comunque meglio distruggere Salvini ed isolare la Meloni infiocinando sottobanco ogni nome quando appena poteva presentarsi.

La scelta di proporre Casellati per esempio era ovvia, ma è stata subito abbattuta dallo stesso “fuoco amico”. Forse Salvini si illudeva degli accordi esistenti e dichiarati, ma senza tener conto che i grillini (impediti quel giorno perfino ad entrare fisicamente in aula: nel segreto dell’urna non si sa mai) giocavano soprattutto a sopravvivere un altro po’ e il leader della Lega ha sottovalutato questa volontà centrista di minare dall’inizio ogni possibile scricchiolio di cambiamento. Davanti ad un anno di posto garantito buona parte del parlamento non ha avuto dubbi: prima di tutto non rischiare, poi si vedrà.

Adesso lo schema è semplice: una alleanza a destra a livello nazionale non c’era già prima, ma ancor meno potrà risorgere domani. Berlusconi, al netto di tutte le chiacchiere e dei megafoni della sua macchina informativa, era l’unico nelle scorse settimane a sperare nel suo sogno impossibile, ma – sfumato il sogno – ha poi personalmente distrutto qualsiasi alternativa perché “après moi le déluge!”: il Cavaliere è fatto così, però lo si sa da decenni e non è certo una novità.

A questo punto credo che i veleni accumulati porteranno più facilmente ad una nuova legge elettorale in senso proporzionale: conviene a Meloni che – un po’ come la Le Pen in Francia – porterà a casa molti voti ma che resteranno in frigorifero, salvo superare percentuali rilevanti. La Lega invece rischia l’implosione se non ai vertici sicuramente a livello di base. Un po’ di leghisti andranno ad ingrossare le fila meloniane, il resto resterà scettico, certo sarà impossibile recitare all’elettore leghista il mantra dell’alternativa e della diversità, visto il voto ufficiale e quasi compatto dato dalla Lega a Mattarella.

Dell’ex centrodestra restano i cespugli e Forza Italia che cercheranno di unirsi in qualche assembramento moderato dove Renzi (ottima la sua strategia) la farà da padrone, alla ricerca di qualche briciola di potere quale che siano le future maggioranze. In attesa della liquidazione grillina e fermi i gruppetti di sinistra destinati ad un rumoroso quanto inutile diritto di tribuna il Pd ha tutto l’interesse ad abbassare i toni e guidare il centro-sinistra ben sapendo che avrà comunque al centro una spalla sicura per organizzare e dirigere i prossimi governi.

Pericolo scampato anche questa volta, insomma: al Nazareno si può che festeggiare archiviando la sconfitta elettorale di 4 anni fa.

Un’altra pietra tombale sulla Repubblica nata nel 1994: siamo tutti tornati democristiani e – piaccia o no – questa è la realtà del voto a Mattarella che almeno, tra gli ex democristiani, è sicuramente una persona per bene: scusate, ma di questi tempi non è poco.



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