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Clima, ultimatum Ue. Sei mesi per cambiare sistema

Entro giugno tutti gli Stati membri dovranno dotarsi di un sistema di allerta pubblica basato sulla telefonia. La transizione digitale è fondamentale: questi servizi “hanno inevitabilmente bisogno della rete di telefonia mobile nazionale”, spiega Gianfranchi (Everbridge)

Alluvioni, incendi, terremoti. Basti pensare a quanto accaduto a Catania, finita sott’acqua a ottobre. Le catastrofi che quest’anno hanno colpito l’Europa e il mondo mostrano come nessun Paese possa ritenersi immune da eventi climatici estremi. Il numero di disastri meteorologici, idrici e climatici è aumentato di cinque volte dagli anni Settanta al 2019, spiegano i numeri dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Allo stesso tempo – fortunatamente – il numero di morti è diminuito da oltre 50.000 morti negli anni Sessanta a meno di 20.000 nel 2019. Merito anche dell’introduzione di sistemi di allerta pubblica basati sulla telefonia.

Tuttavia, solo il 40% dei 138 Paesi membri dell’Organizzazione ha adottato tali strumenti che permettono di informare le persone in anticipo nelle emergenze.

Per i Paesi dell’Unione europea c’è poco tempo: una direttiva, infatti, impone a tutti gli Stati membri di dotarsi entro giugno 2022 di un sistema di allerta pubblica basato sulla telefonia.

“Più che la Cop26 è stata propria la direttiva europea a spingere i Paesi in questa direzione”, spiega a Formiche.net Rachele Gianfranchi, capo degli affari governativi di Everbridge, società fondata nel 2002 e diventata in meno di due decenni un’azienda leader mondiale per la completa gestione di eventi critici. In Italia, Everbridge collabora con numerose realtà in più settori. Globalmente, sono oltre 6.000 i clienti che si rivolgono a Everbridge in caso di minacce alla pubblica sicurezza. Per Gianfrachi, Everbridge è “un’azienda strategica, non ancora in Italia, ma sicuramente negli oltre 20 paesi in Europa, Asia, Oceania, Medio Oriente, Africa e le Americhe dove lavoriamo con diverse amministrazioni del governo”.

Anche in campo di lotta ai cambiamenti climatici e prevenzione, così com’è stato sulla privacy e sarà con ogni probabilità sull’intelligenza artificiale, l’Unione europea appare decisa a esercitare le proprie capacità regolamentari. “Una necessità che si inizia a delineare in maniera sempre più chiara”, commenta Gianfranchi: “il modello commerciale europeo è piuttosto frammentato e tale approccio si è reso necessario dal confronto con la realtà globale fatto di grandi imprese. L’altro tema, emerso con la pandemia Covid-19, è la necessità di intervenire a livello centrale a causa delle difficoltà dei singoli Stati membri di agire”.

E così torniamo alla direttiva europea sui sistemi di allerta pubblica. “Gli strumenti di mitigation appaiono di lungo termine, a volte irrealistici. Piuttosto, crediamo ci sia ampio spazio per quelli di adaption, spesso sottovalutati dal punto di vista economico”.

Gianfranchi vive ad Amsterdam, dove la realtà delle infrastrutture digitali è molto avanzata. Sorge dunque spontanea una domanda: quanto questi servizi dipendono dall’infrastruttura dei Paesi? “Dipende dai prodotti ai quali guardiamo”, risponde Gianfranchi. “Per quanto riguarda le soluzione basate su cloud, che generalmente hanno un pubblico più aziendale, lavoriamo su piattaforme di altre società ma stiamo anche investendo in nostri data center. Ma essendo un’azienda privata dobbiamo avere un sufficiente ritorno che giustifichi questa scelta”. Invece, “i servizi di allerta di pubblica sicurezza hanno inevitabilmente bisogno della rete di telefonia mobile nazionale”.

E anche per questo, “sicuramente il Pnrr, di cui il 20% è dedicato alla digitalizzazione, è un’opportunità che guardiamo da vicino e di cui stiamo già approfittando in alcuni casi”, osserva Gianfranchi sottolineando la necessità di “una maggior collaborazione e fiducia tra pubblico e privato nel campo della pubblica sicurezza”.



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