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Nella crisi americana c’è un messaggio (anche) per l’Italia

Di Joseph La Palombara

La ferita aperta nella democrazia americana dall’assalto al Capitol del 6 gennaio un anno dopo è ancora viva. Ora l’America di Joe Biden deve imparare a voltare pagina. E può trovare nell’Italia (e nell’Europa) un esempio virtuoso. Il commento di Joseph La Palombara, professore emerito a Yale

Difficile immaginare Washington e gli Stati Uniti scrutare oltreoceano per trovare esempi di come dovrebbe essere fatta una solida democrazia. Non è poi così lontano un secolo marchiato dalle dittature europee. In Italia il fascismo, il nazismo in Germania. In Francia il regime di Vichy, di cui solo ora iniziamo a scoprire gli orrori.

Chiariamoci: l’Italia contemporanea è un fulgido esempio di come si debba fare i conti con un passato antidemocratico. La resistenza ha archiviato la disastrosa parentesi fascista. E la democrazia italiana è sopravvissuta negli anni, resistendo all’assalto delle Brigate Rosse, a gambizzazioni e omicidi. Ai turbolenti, anti-democratici anni di piombo.

In quel periodo ho viaggiato molto in Italia. Le Brigate Rosse hanno sparato a miei amici, come Gino Giugni, alcuni sono morti. Ricordo ancora l’inquietudine nel vedere le strade di Milano, Firenze, Roma e Palermo abbandonate quando calava il sole. Ricordo una mia memorabile conversazione con Ferdinando Imposimato, allora celebre per la sua lotta contro le BR, sulla minaccia che il terrorismo rappresentava per le fondamenta della democrazia.

Oggi anche negli Stati Uniti, soprattutto chi è in grado di leggere le notizie e vedere i video su un computer, si può toccare con mano la minaccia che i violenti fatti del 6 gennaio 2021 hanno posto alla democrazia americana. Il presidente Joe Biden ha recentemente tenuto un discorso sull’assalto al Capitol. Spiegando – non tutti ne sono davvero consapevoli – quanto fosse scrupolosamente pianificato in anticipo l’attentato alla democrazia del nostro Paese.

In tre secoli gli Stati Uniti non hanno mai sperimentato niente che avesse la stessa magnitudine e la stessa carica simbolica. Un’elezione corretta – in cui un uomo è stato rimosso e un altro è stato eletto senza brogli – è stata ignorata o rinnegata dai manifestanti. Nonostante le schiaccianti prove in senso contrario molti americani hanno dichiarato fraudolento il voto. Convinti ancora oggi, contro ogni evidenza, che la nuova amministrazione sia guidata da una persona che non ha ricevuto la maggioranza delle preferenze.

Nemmeno ai tempi dei dittatori Benito Mussolini e Adolf Hitler l’Italia e la Germania hanno vissuto qualcosa di simile. A ben vedere a questi due uomini – sia pure in condizioni diverse – fu richiesto ufficialmente di formare un governo. La democrazia è stata messa all’angolo gradualmente. Perfino la “Marcia su Roma”, dopotutto, non è stata affatto una marcia.

La difficoltà di base per gli Stati Uniti è che, a differenza dell’Italia, la Costituzione non permette agli elettori di decidere chi sarà il presidente: questa elezione diretta è impossibile per come è costituito il collegio elettorale americano. Quest’organo, che ogni quattro anni nomina il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti, richiede una maggioranza di 270 membri del Congresso per autorizzare il vicepresidente in carica, ai sensi della legge federale, a nominare il vincitore delle elezioni.

Ogni Stato in teoria dovrebbe avere tanti delegati nel Collegio quanti membri ha nel Congresso. Ma il sistema prevede comunque una disuguaglianza numerica perché la Costituzione prevede due senatori per ogni Stato, a prescindere dalla popolazione. Immaginate quanto poco democratico sarebbe riconoscere alla California, con quaranta milioni di residenti, gli stessi seggi del Wyoming, che ne ha mezzo milione. Sarebbe come far governare l’Italia dalla sua regione più piccola, la Germania dal suo Stato più minuto. Nulla a che vedere con una democrazia.

In effetti i cosiddetti Padri fondatori americani non avevano in origine alcuna intenzione di creare una democrazia dove il Capo dello Stato fosse nominato o eletto direttamente dal popolo. Non a caso nell’ultima elezione federale il presidente (Biden, ndr) ha ricevuto 7 milioni di voti in più rispetto al suo avversario. Niente di tutto questo potrebbe accadere in Italia o in Europa. Nel collegio elettorale il margine di Biden nel voto popolare è stato ridotto. Il presidente ha infatti ottenuto 306 voti sui 270 necessari per essere eletto

Trump e i suoi accoliti vorrebbero ancora oggi sovvertire questo risultato. Se l’assalto al Capitol del 6 gennaio avesse avuto successo un anno fa, gli Stati Uniti avrebbero ora un presidente non democratico eletto da una minoranza. Qualcosa di simile – piuttosto che all’Italia o alla Germania, dove la costituzione non lo permetterebbe – a quel che avviene in alcuni Paesi dell’America Latina.

Quasi la metà degli oltre trecento milioni di americani vive oggi in metropoli sparse nel Paese, ma concentrate su entrambe le coste dove Biden ha ricevuto un sostegno schiacciante. E tuttavia l’ultima elezione presidenziale ha confermato che sono gli Stati più piccoli a dare le carte. Un po’ come se l’Italia fosse governata, ad esempio, dalla Valle d’Aosta. È anche questo il segno che, a differenza di gran parte dell’Unione europea, la democrazia americana, un tempo indiscutibile, oggi attraversa una tempesta.

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