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Così la crisi energetica ha stravolto i prezzi per famiglie e imprese

Il prezzo della CO2 nel mercato europeo è aumentato in un anno da 28 dollari per tonnellata a 65 dollari a ottobre per balzare verso gli 80 dollari. Inevitabile l’impatto sui prezzi al consumo sia del metano, sia dell’elettricità. L’analisi di Alberto Clò, direttore rivista Energia

L’illusione che la transizione energetica fosse un pasto gratis è svanita nello spazio d’un mattino. L’Italia, come gran parte del mondo, sta attraversando la più grave crisi energetica di cui si abbia memoria, peggiore di quella del 1973 che fu più politico- mediatica che effettiva, non essendo mai mancato il petrolio.

Una crisi, quella attuale, originata invece da un’effettiva scarsità fisica del metano che ha causato un’esplosione dei suoi prezzi e per contagio di quelli dell’elettricità, da cui questi dipendono. I prezzi all’ingrosso del metano sulla piattaforma Psv sono aumentati da meno di 2 doll/mil. Btu (British thermal unit) della metà del 2020 a punte in ottobre di 40 dollari, per ripiegare leggermente e rimbalzare a 35 doll/mil. Btu a metà dicembre.

A novembre i prezzi all’ingrosso dell’elettricità hanno raggiunto il massimo storico di 400 euro al megawattora dacché si avviò la borsa elettrica nel 2004. Il prezzo della CO2 nel mercato europeo (Emission trading scheme) è aumentato in un anno da 28 dollari a tonnellata a 65 dollari a ottobre per balzare verso gli 80 dollari. Inevitabile l’impatto sui prezzi al consumo sia del metano sia dell’elettricità.

Nel secondo semestre di quest’anno in Italia quelli dell’elettricità sono aumentati (in due fasi: primo luglio e primo ottobre) del 39,7%; quelli del metano del 29,7%. I più alti aumenti mai osservati. Sarebbero stati molto più elevati (rispettivamente del 65% e del 54,3%) se il governo non avesse messo in campo 4,7 miliardi di euro per lenirne il costo per le famiglie.

Dal gennaio prossimo quelli del metano dovrebbero aumentare di un altro 40%, sempre che il governo non immetta altre e ancor più ingenti risorse. L’aumento dei prezzi energetici ha impattato sui prezzi dei beni che se ne traggono e con effetto domino su quelli di tutti gli altri beni: dai fertilizzanti, aumentati di un quarto in un solo mese, e quindi su quelli del cibo, ai materiali plastici aumentati del cento per cento dal novembre 2020 al giugno 2021.

L’inflazione nell’eurozona, già acuita dall’aumento delle altre materie prime e da strozzature nelle supply chain industriali, è cresciuta a un livello stimato a settembre al 3,5% e a ottobre al 4,1%, nuovo massimo da tredici anni, trainata da un aumento dell’energia del 17,4% a settembre e del 23,5% a ottobre. Negli Stati Uniti è salita a ottobre al 6,2%. La crisi decurta consumi e investimenti, rischiando di impattare sulla ripresa economica.

La stessa Bce nel suo ultimo bollettino economico, pur riconoscendo la “ripresa vigorosa” delle economie dell’eurozona scrive che “nel breve periodo le strozzature dal lato dell’offerta e l’incremento dei prezzi dell’energia rappresentano i principali rischi per il ritmo della ripresa”.

Illusi dall’idea che l’energia, e il petrolio in particolare, contassero sempre meno nei sistemi economici, ci si trova a dover fare i conti con una situazione che ne rimarca la centralità sulla crescita e sulla competitività delle imprese. Un solo dato ne può dar conto: mentre i prezzi all’origine del gas metano quotano nel nostro mercato sui 30-35 doll/mil. Btu quelli americani oscillano sui 5 doll/mil. Btu.

Per le imprese della ceramica, ove il costo del gas pesa per un quarto dei complessivi costi, la battaglia sui mercati di esportazione si fa veramente dura. Diverse imprese non sono in grado di sostenere i prezzi astronomici dell’energia. L’impianto di Ferrara della norvegese Yara che produce additivi per auto diesel ha annunciato la fermata come la Portovesme del gruppo Glencore.

Diversamente dall’aumento dei prezzi degli altri beni, nel caso di quelli energetici l’impatto è trasversale e verticale, incide non solo sui costi diretti di produzione, ma anche su quelli a valle di gestione dei magazzini e fornitori e dei punti vendita.

Se poi aggiungiamo i maggiori costi di trasporto causati dall’aumento dei prezzi del petrolio e suoi derivati intorno al 60% dall’inizio di quest’anno ci rendiamo conto di come l’energia sia tornata al centro dell’economia e della politica del Paese. Anche se la politica non sembra in grado di porvi rimedio.

Un solo emblematico caso: mentre manca il metano con scorte a bassi livelli, ci ostiniamo assurdamente a impedire lo sfruttamento delle abbondanti riserve di cui pure disporremmo. Un Paese ostaggio di una minoranza che alla produzione interna preferisce le importazioni col pretestuoso argomento che il metano potrebbe essere sostituito dalle rinnovabili.

Argomento falso e fazioso cui comunque la politica sembra piegarsi, poco attenta agli interessi generali del Paese.

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