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La crisi kazaka, gli interessi di Roma e i bitcoin. La ricostruzione di Trenta

Dalla repressione della rivolta kazaka all’interventismo di Mosca attraverso la Csto, l’Europa guarda e condanna le violenze, come pure l’Italia. Eppure il nostro Paese è il primo partner commerciale europeo di Nazarbaev. E poi il legame curioso tra la crisi e le criptovalute. Scrive Elisabetta Trenta, professoressa alla Link campus university e già ministro della Difesa

Il Kazakistan è lontano ma non troppo dagli interessi italiani e vale la pena spiegare con semplicità cosa sta succedendo. Alla fine dell’impero Sovietico, il Kazakistan è diventato una repubblica indipendente che per circa 30 anni, fino al 2019, è stata guidata da Nursultan Nazarbaev, sostituito poi dall’attuale presidente Kassym Khomart Tokayev. Il più grande Paese dell’Asia centrale e il nono Paese più grande del mondo, ha iniziato il nuovo anno con una rivolta popolare che, nata in una regione petrolifera, si è poi estesa almeno a dodici città del Paese.

LA CAUSA DELLA RIVOLTA

Il motivo che ha scatenato la rivolta era stato la decisione del governo di eliminare il blocco messo sul prezzo del gas liquefatto (perché il prezzo troppo basso stava causando problemi di approvvigionamento) e che aveva portato a duplicarne i prezzi. Come sempre, dietro una rivolta c’è un elemento scatenante, ma ci sono anche ragioni strutturali e, nello specifico, in Kazakistan c’è un grande malcontento della popolazione su cui non ricadono le ricchezze prodotte dalla grande disponibilità di risorse minerali, di gas e di petrolio del Paese. A questa disuguaglianza nella distribuzione delle risorse si aggiunge un governo corrotto, autocratico e il desiderio di riforme politiche. Certo non si tratta di una delle cosiddette “rivoluzioni colorate”, spesso appoggiate dall’occidente, che hanno coinvolto altri Paesi dell’ex Unione Sovietica, come la Rivoluzione delle rose in Georgia, la Rivoluzione arancione in Ucraina o quella dei tulipani in Kirghizistan. O, forse, potrebbe esserlo? In fondo, costringere la Russia a spostare parte del proprio esercito in Kazakistan è un ottimo modo per distrarla per un po’, o per depotenziare la sua azione in Ucraina. Ma, lasciamo stare le congetture.

LA RISPOSTA DEL GOVERNO

In ogni caso il governo kazako ha risposto fermamente e ha chiesto l’aiuto alla Russia che attraverso la Csto (Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva), ha inviato circa 3mila peace keepers. La Csto è una sorta di Nato, creata alla fine dell’Unione Sovietica tra Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kyrgyzystan e Tagikistan. Per la prima volta è stato attivato l’art. 4 della Csto che prevede l’intervento in favore dei membri dell’alleanza contro attacchi esterni ma è stato fatto per supportare un alleato contro un problema di natura interna.

L’INTERVENTO RUSSO

Perché la Russia ha deciso di intervenire? Certamente l’occasione è propizia per Mosca per mostrare all’occidente che non rinuncia a esercitare azioni militari in favore dei propri interessi strategici e per affermare che l’Asia centrale è una propria area di influenza. Non si può ignorare il collegamento con quanto sta avvenendo in Ucraina e il braccio di ferro con gli Stati Uniti, che vede la Russia chiedere fermamente alla Nato di rinunciare ad assorbire l’Ucraina nella propria orbita, in cambio di una rinuncia ad attaccare e assorbire alcune parti russofone dell’Ucraina. Né, tantomeno, si può fingere di non aver notato il supporto che la Russia sta dando a Lukashenko nella sua vergognosa guerra che utilizza i migranti come arma per ricattare l’Europa. La scelta di Vladimir Putin, sebbene comprensibile, è rischiosa, perché potrebbe alterare gli equilibri nelle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. È per questo che, svolto il compito prefissato, il ritiro delle truppe russe è già iniziato.

LE INTENZIONI DI PUTIN

I messaggi di Putin agli Stati Uniti, all’Ue e alla Nato, che arrivano nelle stesse ore in cui vanno avanti i contatti diplomatici, sono chiari: la Russia ha tutta l’intenzione di continuare a difendere il suo spazio vitale, costituito dalle ex repubbliche sovietiche. Quanto tempo è passato da quando lo stesso Putin non escludeva che la Russia potesse entrare nella Nato. Lo ha raccontato George Robertson, segretario generale dell’Alleanza atlantica tra il 1999 e il 2003. Era il 2000 e in un incontro Putin gli chiese quando avrebbe invitato la Russia ad entrare nella Nato e, per la verità, lo aveva già detto in un’altra intervista affermando che non escludeva l’adesione della Russia alla Nato, a patto di essere considerato un partner alla pari degli altri. Putin riteneva che la Russia facesse parte della cultura europea e che non dovesse essere isolata dall’Europa. Ma la storia cambia velocemente ed errori reciproci hanno condotto alla realtà di oggi in cui l’Europa subisce i danni causati dal rinnovato confronto tra Stati Uniti e Russia. Viene così coinvolta negli esiti della guerra del gas e sta a guardare, senza riuscire a prendere quelle decisioni importanti e non rimandabili che dovrebbero farla agire come un corpo geopolitico unico, capace di rappresentare gli interessi di tutti i Paesi europei e di non soffermarsi di fronte agli interessi dei singoli membri.

UN TAGLIO CON IL PASSATO

Per il presidente kazako la crisi è stata anche il modo per tentare di tagliare definitivamente (ma sarà difficile) i legami del precedente presidente Nazarbaev con il governo e il tessuto economico del Paese. Peccato però che Nazarbaev fosse molto più vicino all’Europa e anche all’Italia. C’è poi un altro convitato di pietra, la Cina, che molto ha investito in Kazakistan e che, come la Russia, ha tutto l’interesse a sostenere la stabilità del Paese e ha promesso aiuti.

LA CONDANNA EUROPEA

L’Europa intanto guarda e condanna le violenze, come pure l’Italia. Eppure il nostro Paese è il primo partner commerciale europeo del Kazakistan e potrebbe essere protagonista dello sforzo per la diversificazione dell’economia kazaka, anche considerando che il Kazakistan vorrebbe entrare a far parte delle trenta economie più avanzate del mondo entro il 2050.

IL RUOLO DELLE CRIPTOVALUTE

Un ultimo aspetto è di grande interesse in questa crisi. Una delle cause dell’aumento del prezzo dell’energia kazaka è che in pochi mesi si sono trasferite in Kazakistan quasi 90mila aziende che trattano criptovaluta. Per “minare” i bitcoin e le altre criptovalute occorre una grandissima quantità d’energia. Secondo alcuni, il blocco della rete Internet, successivo alla crisi kazaka, avrebbe determinato un calo della capacità di calcolo della rete e una riduzione del valore dei bitcoin. Interessante argomento da approfondire per capire come e perché una crisi geopolitica nata nel mondo reale si trasformi in una crisi di una valuta virtuale, a sua volta capace di creare altri problemi di natura geopolitica. Ma questa è un’altra riflessione che merita uno spazio tutto suo.


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