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Il debito europeo e gli “apprendisti stregoni”

Alcuni suggeriscono di “parcheggiare” il debito, altri di tenerlo per sempre nel capiente ventre della Banca centrale europea, ma questi schemi di soluzione potrebbero accelerare ed aggravare una crisi del debito dei Paesi Ue più indebitati, scuotendo la fiducia degli operatori. Il commento di Giuseppe Pennisi

In Francia e in Italia, non tanto negli altri Paesi dell’Unione europea (Ue), sta fiorendo una nuova piccola industria: quella dei “solvi-debito pubblico”. Consiglieri di questo o di quel leader competono nel presentare proposte per “risolvere” il debito delle Pubbliche amministrazioni, senza pagarlo a chi ha prestato i soldi (di solito piccoli risparmiatore che hanno, con l’acquisto di titoli di Stato, dato un segno concreto di fiducia nelle istituzioni). Enfatizzano una “strategia franco-italiana” a cui si accoderebbe la Germania. Spesso trovano giornalisti compiacenti (e digiuni di economia) che titolano le loro “soluzioni” a otto colonne.

Si tratta sovente di “apprendisti stregoni” quali quelli del poema sinfonico di Paul Dukas trasformato in mirabile cartone animato da Walt Disney in Fantasia nel lontano 1940. Perché occuparcene? Fanno confusione e distraggono l’attenzione da proposte serie sulla politica europea di finanza pubblica, quali quelle di Astrid e di Economia Reale.

Gli “apprendisti stregoni” spaziano da coloro che propongono agenzie dove “parcheggiare” il debito e coloro che progettano di tenerlo per sempre nel capiente ventre della Banca centrale europea (Bce) seguendo le linee della sedicente Modern Monetary Theory (MMT) e trasformando così la Bce in un istituto di beneficienza a vantaggio soprattutto dell’Italia. Nell’una e nell’altra ipotesi (e delle loro numerose varianti), come sottolinea Ricardo A.M.R. Reiss della London School of Economics, questi schemi di soluzione potrebbero accelerare ed aggravare una crisi del debito dei Paesi Ue più indebitati, scuotendo la fiducia degli operatori. Debt crisis are self-fulfilling prophecies (Le crisi del debito sono profezie che si auto-avverano), come dimostrano, ad esempio, i numerosi casi di crisi debitorie dell’Argentina, che si sarebbero potute evitare.

Gli autori delle proposte avrebbero fatto bene a seguire online il 7 gennaio la sessione sul debito delle Pubbliche amministrazioni dell’American Finance Association a cui hanno partecipato i maggiori esperti della materia. Il tema non era se e come risolvere il problema del debito europeo, specialmente di alcuni Stati, (aumentato, in rapporto al Pil, vertiginosamente a causa della pandemia sia per la contrazione della produzione sia per l’espansione, in deficit, della spesa pubblica per rilancio dell’economia e per ristori), ma quello dei limiti del debito del Governo federale degli Stati Uniti e della sua “sostenibilità”.

Il sottosegretario al Tesoro Usa, Nellie Lang, ha mostrato, dati alla mano, come la crescita dell’economia americana superi il tasso d’interesse e per questa ragione si può dormire tra due cuscini. Amir Sufi della Booth School of Business dell’Università di Chicago ha, invece, sottolineato che di per sé l’indebitamento ed il debito possono spingere in su i tassi. Una determinante che ha contenuto i tassi è l’aumento dei risparmi privati (dei ceti a reddito medio-alto ed alto); paradossalmente, le diseguaglianze (aggravatesi a ragione della pandemia) contribuiscono a frenare i tassi proprio perché favoriscono i ceti benestanti, quelli che più risparmiano. Markus Brunnermeier dell’Università di Princeton ha sottolineato che, di fronte all’ “inimmaginabile” (la pandemia) i risparmiatori considerano i titoli di Stato “un investimento sicuro” (quindi, occorre andarci piano con idee di “parcheggiarli” qua o là). Atif Mian, anche lui di Princeton, e Ludwig Strauss dell’Università di Harvard hanno approfondito il tema di quando e come il debito frena la crescita e, quindi, prepara gradualmente la crisi. Come è noto, nel 2010 Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff posero l’asticella al 90% del Pil (oggi il debito medio dell’eurozona è al 100% del Pil e quello dell’Italia al 150%). Nel 2014 un lavoro del Fondo monetario mise in dubbio l’asticella del 90% e concluse che “Paesi con un debito alto ma in diminuzione crescono, con politiche economiche appropriate, a tassi non inferiori di quelli con basso debito”. Quindi, il nodo non è come trovare un marchingegno per “parcheggiare” il debito, ma come stimolare la crescita, con riforme ed investimenti ben concepiti.

La crescita – come sottolineano i lavori di Astrid e di Economia Reale – è la strada maestra: va stimolata con riforme ed investimenti. Se il debito arriva a livelli spaventosi, le strade si restringono a riduzione della spesa pubblica ed aumento delle imposte od a svalutazione (ma ciò vorrebbe dire uscita dall’unione monetaria). Nel dopoguerra, l’Italia fu costretta ad una drastica svalutazione: Luigi Einaudi che la decise scrisse che sarebbe stata più equa una maxi-patrimoniale. Nel Novembre 1967, la Gran Bretagna fu costretta a svalutare causando una forte perdita di valore alle sterling balances “parcheggiate” alla Bank of England; fu la fine della zona della sterlina.

Lo ricordino gli “apprendisti stregoni” che propongono di “parcheggiare” il debito.


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