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Il terrorismo jihadista è anche una questione di spazio

Di Andrea Sperini

La comunità internazionale si trova dinnanzi a nuove sfide legati all’evoluzione della minaccia. Ecco da dove partire nel contrasto. L’intervento di Andrea Sperini, ricercatore in materia di geopolitica della sicurezza e terrorismo

L’evoluzione di specifiche manifestazioni del terrorismo jihadista, pone la comunità internazionale davanti a sfide cui bisogna rispondere in modo tempestivo e irrinunciabile. Dal jihadismo antisistema, che in Europa sembra definirsi quale manifestazione di un estremo e laico individualismo da opporre al contesto socio-culturale, a quello imprenditoriale e dai caratteri statuali che vede protagonista Al Qaeda nella regione Saheliana, si assiste a evidenti processi di rimodulazione di un fenomeno che presenta delle chiare divergenze rispetto all’originario progetto ideologico, totalizzante e corale.

Premettendo come il terrorismo jihadista organizzato continui a definire criticità globali, non si deve tralasciare il fatto di come, in determinate condizioni, il fenomeno abbia assunto delle manifestazioni particolari e talvolta divergenti rispetto al tradizionale modello ideologicamente strutturato. Il risultato attuale è un fenomeno binario che richiede dedicate chiavi interpretative e mirate strategie di prevenzione e contrasto.

È il caso di specifiche dinamiche europee che, per modalità di assunzione e azione, sembrano essere caratterizzate da un chiaro sentimento antisistema che, sempre più, identifica il jihad come un catalizzatore di laici sentimenti di opposizione, cui aderire attraverso un processo di rimodulazione identitaria.

Sono i concetti di contestazione, protagonismo nell’azione e di esaltazione soggettiva, a delineare un importante cambiamento nelle dinamiche di adesione alla causa jihadista, mettendo in luce come questa sia caratterizzata sempre meno da intime convinzioni religiose e sempre più dalla necessità di soddisfare propri, laici, sentimenti di opposizione rispetto al sistema socio-culturale in cui si vive. Detto approccio è assolutamente contrario alle logiche della ordinaria tradizione jihadista che, al contrario, assegna all’individuo un ruolo esclusivamente servente, coincidente con l’adempimento di un dovere irrinunciabile, fino a pretenderne l’annullamento all’interno dell’organizzazione.

A segnare un punto di svolta è certamente stata la proiezione europea dell’esperienza dell’autoproclamato Stato islamico. La propaganda di quest’ultimo, incentrata su una massiva chiamata qualunquista e sull’esaltazione dell’individuo, ha concesso un’opportunità di adesione e azione anche a chi, per una moltitudine di motivi, pur non introdotto nel contesto dell’estremismo ideologico-religioso intendesse veicolare il proprio rancore verso il sistema sociale di cui è in qualche modo parte. Una morfogenesi strettamente connessa a una sorta di dialettica negativa tra individuo e società, dal cui scollamento si genera quello spazio grigio nel quale si manifestano, interagendo, le variabili emotive di individuale opposizione. Non è certamente un caso che gran parte dei terroristi europei abbiano un trascorso nel mondo della microcriminalità.

Appare, dunque, necessario comprendere, e intervenire, in questo terzo spazio sociale, generato dalla sintesi delle conseguenze del messaggio jihadista sdoganato dallo Stato islamico e dalle endogene criticità dei sistemi socio-culturali del Vecchio continente; uno spazio idealmente condiviso in cui azioni e relazioni sembrano essere dirette da una sorta di principio di solidarietà che prende il posto del modello gerarchizzato e guidato; come dire che, in determinate condizioni, i sentimenti di rabbia e odio individuale si affiancano, fino a sostituirsi, ai concetti di progettualità e strategia tipiche dell’organizzazione terroristica.

Alla luce di questi processi, un approfondimento dovrebbe essere dedicato al concetto di radicalizzazione che, se riferito alle “laiche” motivazioni e dinamiche di adesione sopra descritte, sembrerebbe declinarsi piuttosto in un processo di fidelizzazione radicale rispetto alla proposta terroristica; l’interpretazione di questo assunto non solo spiegherebbe il fenomeno della rapida radicalizzazione ma consentirebbe di definirne l’outlook nello spazio socio-culturale in cui si è manifestato.

L’esposizione di quanto sopra, sintesi della personale ricerca accademica, intende evidenziare la dinamicità del terrorismo jihadista e la sua capacità di prendere forma rispetto agli spazi di manifestazione.

La sfida è, dunque, quella del saper cogliere, e contestualizzare, le accelerazioni del fenomeno che in molte realtà presenta caratteri inediti e sempre più pervasivi.

Volendo allargare lo sguardo poco oltre i confini europei, nella regione del Sahel, Al Qaeda nel Maghreb Islamico ha, di fatto, dato vita a un sistema di controllo e gestione del territorio; grazie alla strategica inclusione nella filiera dei traffici illeciti dei giovani locali, ha progressivamente veicolato il messaggio jihadista, sapientemente rimodulato per consentirne l’accettazione, nel tessuto sociale. Un processo devastante che ha dato vita a un progetto di progressiva ridefinizione culturale di intere comunità che risiedono nei territori controllati dalla federazione legata ad Al Qaeda.

Ma questa è un’altra storia che, tuttavia, ci porta a riflettere su come le dinamiche del terrorismo jihadista siano estremamente condizionate dai caratteri specifici degli spazi, sociali, geografici ed economici, e dalla loro successiva interazione.

Aspetto, questo, che impone una seria riflessione indicando nell’approccio interdisciplinare la strada da percorrere perché il complicato non degeneri nel complesso.

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