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A tutta inflazione. Ma chi ha l’ultima parola, Fed o Casa Bianca?

Negli Usa i prezzi sono ai massimi dal 1982 e per gli alti funzionari della Casa Bianca la colpa è delle chiusure cinesi e dei vari lockdown sparsi per il mondo. Ma molti economisti la pensano diversamente, c’è lo zampino dell’effetto emotivo dei piani pandemici di Biden. Il quale sbologna il problema alla Fed

L’inflazione sta diventando un problema molto serio. Sia per Joe Biden, sia per gli americani che nonostante una ripresa del Pil post pandemica (+2,3% nel terzo trimestre), vedono redditi e potere d’acquisto minacciati dai rincari. E persino per Jerome Powell, il presidente della Fed costretto a stravolgere la tabella di marcia e attuare in fretta e furia il tapering, il disimpegno della banca centrale dalla politica ultra-accomodante.

Nel week end è andato in scena una sorta di rimpallo delle responsabilità sul surriscaldamento dei prezzi, che rischia di sfuggire di mano, neutralizzando gli effetti della stessa crescita. Come ha raccontato il New York Times, alcuni alti funzionari della Casa Bianca hanno ripetutamente incolpato la congiuntura internazionale per l’elevata inflazione, a cominciare dai lockdown cinesi che hanno fermato interi segmenti industriali, per arrivare a toccare il blocco nel Canale di Suez di quasi un anno fa. Insomma, secondo gli uomini più vicini a Biden, la politica americana c’entra poco con la fiammata sui prezzi. Le colpe sono da cercare altrove.

Peccato che, sempre secondo il quotidiano newyorkese, in molti non la pensino così. A cominciare da una nutrita pattuglia di economisti, molti dei quali in orbita democratica, secondo i quali l’inflazione a livelli record da 40 anni a questa parte va imputata proprio alla politica interna. E qui sul banco degli imputati ci sono i mastodontici piani pandemici messi in piedi dall’amministrazione e la conseguente decisione di inondare l’economia di denaro. Il che è vero solo in parte.

A oggi il Congresso non ha approvato nemmeno il primo dei pacchetti, il Build Back Better che vale 1.750 miliardi di dollari, e questo perché il senatore dem Joe Manchin ha posto il proprio veto mandando in stand by i piani di Biden, ma bisogna anche ricordare che la promessa del presidente di iniettare nel mercato quasi 5 mila miliardi di dollari (tanta era l’ampiezza dei piani pandemici messi insieme), ha avuto comunque il suo impatto psicologico. Famiglie e imprese, sull’onda emotiva di tali sforzi, benché non ancora concretizzatisi, hanno acceso la domanda, spingendo al rialzo i prezzi.

Dalla Casa Bianca non ci stanno a essere impallinati. Lo stesso Biden, nel corso della conferenza stampa di mercoledì in cui ha fatto un bilancio di un anno di presidenza, ha chiarito che se c’è qualcuno che deve occuparsi del problema inflazione è la Fed. Il cui compito “fondamentale è quello di assicurarsi che i prezzi elevati non si rafforzino ulteriormente. Data la forza dell’economia e il ritmo dei recenti aumenti dei prezzi, è opportuno, come ha indicato il presidente della Fed Powell, ricalibrare il supporto ora necessario”, ha affermato Biden.

Non si può dire che Powell non abbia a cuore la questione, dal momento che dal taglio dei tassi e dal raffreddamento dei prezzi dipende anche la salute del mercato del lavoro. Inflazione più alta vuol dire anche potere d’acquisto ridotto e dunque la necessità di allineare i salari. Ma d’altro canto, lo stesso numero uno della Fed ha imputato la necessità del tapering proprio alla ripresa ultra-tonica del mercato del lavoro. Un bel rebus.

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