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Mattarella bis e il dovere di riavvicinare la politica al popolo

Di Angelo Lucarella

Oggi abbiamo un Presidente (grande sicuramente) che potrà esser paragonato ai costituenti se riuscirà a ricostituire il popolo in una dimensione nuova: la competenza al servizio del Paese. Che non significa la Repubblica della tecnocrazia, ma che la politica deve tornare a forgiarsi di prossimità verso l’elettorato, di riscatto del sapere ed elasticità nel tempo e nello spazio dell’esser parte (cioè partito)

La rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica segna uno sparti acque tra politica, popolo e Parlamento.

La ricomposizione in termini di affiatamento di questi tre elementi, sotto il segno dello spirito costituzionale, spetta e spetterà, quindi, alla persona a cui lo stesso Parlamento ha chiesto aiuto dato il momento storico e il fatto che i partiti, in buona sostanza, si sono auto-imbalsamati. Mattarella ha un compito non solo difficile, ma delicatissimo. Quasi sul filo del rasoio.

Far tornare di moda la politica responsabile e capace di misurarsi con la Costituzione non scritta: quella fatta anche di galateo istituzionale. Perché è quest’ultimo che, insieme ad altre componenti, contribuisce ad ispirare il popolo, ripopolandolo (si consenta l’ostentazione concettuale) nonché a fidarsi di chi ricopre ruoli di servizio per il Paese.
Ispirare d’altronde cosa significa?

È sempre l’etimologia che ci aiuta a capire; la parola in questione sta ad orientare come instillare nell’animo un pensiero, un disegno, un affetto, infondere virtù. Per altro verso sta anche a riportarci all’idea di respirare a pieni polmoni.

Input, quelli appena riportati, che non altro fanno pensare ad un qualcosa di unico che gli antichi, ad esempio, ritrovavano nella dimensione divinatoria, ma che noi contemporanei potremmo ricondurre al cosiddetto coraggio responsabile. È quel coraggio che combatte le paure. E prendendo in esame la situazione politica attuale è proprio quel che il Presidente Mattarella ha voluto infondere in due fasi.

La prima rivolgendosi al Parlamento sussurrando a quest’ultimo che la Costituzione non scritta (ma d’ispirazione) va rispettata al pari di quella scritta. Da qui l’annuncio che non avrebbe accettato di essere informalmente candidato alla prosecuzione del mandato presidenziale.

La seconda (fase), invece, accettando il secondo mandato presidenziale per responsabilità una volta constatato il fallimento del Parlamento rispetto a quanto indicato innanzi.

Sergio Mattarella, quindi, si trova davvero davanti una sfida complicatissima: ricostruire la Politica nel senso più nobile e cioè ridotarla di dignità della professione (proprio come accezione sentimentale, non già a scopo di lucro intendendosi che, di contro, l’impegno politico debba avere un suo sostentamento economico).

Già, perché se qualcuno pensa che la politica sia un viaggio in qualche luogo mozzafiato per un po’ di tempo della vita, allora, non può che ritrovarsi rappresentanti in similitudine. È quel che accade quando si vota, per intenderci meglio, per immedesimazione (cioè ti voto perché sei come me, fai come me, la pensi come me, ecc.).

Invece la politica è rigenerazione continua dell’animo rispetto al “crollo delle speranze” (come direbbe Max Weber).

È una frase semplice, ma che inquadra alla perfezione l’ideal-tipo di Politico. Colui che sa riconoscere il fallimento dell’Uomo e che nel fallimento ritrova la forza per andare avanti. Per ricominciare. Per non lasciar andare. Per non abbandonare. Avere cura. Non si tratta di concetti astratti o frasi fatte.

È quel che i nostri Costituenti ci insegnano in maniera così forte, ancora oggi, che risulta oceanica la distanza tra quell’Italia e quella attuale.

Significa che la Costituzione, l’istituzione, il Parlamento sono luoghi (se non il luogo come unicum). Sono luoghi, appunto, in cui deve regnare lo sforzo collettivo del superamento delle difficoltà. Processo che, sappiamo bene, implica la cura dell’altro, della diversità e della propria complessità. La politica, non a caso, è complessa.

Per questo l’incarnazione è un elemento imprescindibile per “ripopolare il popolo” (in collegamento con l’ostentazione concettuale di prima). Sergio Mattarella, detta inclinazione, l’ha messa a disposizione del Paese. Cosa che, per l’effetto, lo proietta e lo proietterà tra i grandi della storia repubblicana.

Ricordiamo tutti, a proposito di storia, la vicenda dell’impeachment di grillina memoria? La prova provata di come con la cura dell’altro si può incidere indirettamente su un movimento (annunciatamente) rivoluzionario che, dopo pochi anni, si è trasformato, al netto di qualche isolata minoranza, in un movimento istituzionalizzato o meglio dicendo istituzionale (mi si consentano i termini usati per rendere l’idea).

Qual è stato il segreto di Mattarella nel fare questo allora? Niente di più solido che ispirarsi al passato con la tempra della speranza.

Oggi abbiamo un Presidente (grande sicuramente) che potrà esser paragonato ai costituenti se riuscirà, appunto, a ricostituire quel Popolo in una dimensione nuova: la competenza al servizio del Paese. Che non significa la Repubblica della tecnocrazia, ma che la politica deve tornare a forgiarsi di prossimità verso l’elettorato, di riscatto del sapere ed elasticità nel tempo e nello spazio dell’esser parte (cioè partito).

E chi è più competente di un politico per professione, che studia i provvedimenti, diversifica le interazioni, si contamina dell’altrui idea senza rinunciare alla propria? In sostanza, un politico intellettualmente emancipato.
Matterella è riuscito in questi anni, non a caso, a gestire i bollori del partitismo da sentiment sfrenato (come frutto di disperazioni mascherate direbbe Norberto Bobbio) traducendoli in confronti doverosi, necessari, anche se a volte fallimentari (il voto del bis presidenziale ne è ulteriore prova).

Non è altrettanto un caso che il Parlamento, lo stesso del 4 marzo 2018, sia tornato sui passi del voto del 2015 con una diversità sostanziale tenuto conto che i cittadini nell’ultima elezione parlamentare votarono indicando vittoriosi il M5S e, come coalizione, il centrodestra. Osserviamo bene: non esistono più entrambi. O forse sono molto cambiati.
È in questi passaggi la sfida grande di Mattarella: far capire al popolo che della politica bisogna farne rivoluzione costante perché essa può avvenire nelle vie della democrazia (cosa diversa dalla sovversione, eversione, ecc. che sono forme illecite). Ciò non è il contrario del riformismo, ma la genesi del cambiamento. E non si tratta di parola sconveniente. È la radice della sofferenza, ricordiamolo, che ha partorito la nostra Costituzione. Rivoluzione e (è) Costituzione possono coesistere.

Come Mattarella dinanzi al crollo della speranza di questi giorni. Da qui ripopoliamo il popolo.
Con dovere, con senso di responsabilità. Rigenerando i partiti. Riaprendo i luoghi della partecipazione. Sì ma come?

Ispirando. Non è male come inizio. E aggiungerei anche “coraggio”. Un atto corale che si compone di tante singolarità. Non di individualità. Le periferie, le sezioni di partito, la gente che si confronta.

In una sola parola: affezione; di cui siamo un po’ tutti orfani. Affezione che possiamo ricostruire perdonandoci come Paese di aver pensato alla politica quasi sempre come a qualcosa di negativo. Lontana da noi. Pensiamo a Mattarella, al compito arduo che ha davanti ed ispiriamoci. A pieni polmoni.

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