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Perché si tornerà presto a parlare di pensioni

Non solo è stata insediata, su richiesta dei sindacati, una commissione presso il ministero del Lavoro per delineare una possibile nuova riforma, ma è stato pubblicato il documento Ocse Pensions at a glance 2021, è stato diffuso il rapporto ministeriale sulla separazione tra assistenza e previdenza e tre autorevoli associazioni hanno predisposto un documento analitico. Il commento di Giuseppe Pennisi

Una volta eletto il Capo dello Stato, il governo dovrà rivolgere l’attenzione a pressanti temi economici correnti come il rallentamento della crescita causato dalla nuova ondata di Covid, l’inflazione, gli effetti degli aumenti dei prezzi sugli investimenti contemplati nel Pnrr. Ed anche di pensioni. Non solo perché è stata insediata, su richiesta dei sindacati, una commissione presso il ministero del Lavoro per delineare una possibile nuova riforma, ma anche perché è stato pubblicato il documento Ocse Pensions at a glance 2021, è stato diffuso il rapporto ministeriale sulla separazione tra assistenza e previdenza, tre autorevoli associazioni (la Confedir, la Feder.S.P e V e la APS Leonida) hanno predisposto un documento analitico che giunge a conclusioni diametralmente opposte a quello ministeriale. C’è un nesso forte perché i documenti Ocse, come quelli dell’Unione europea (Ue), utilizzano dati sulle pensioni in Italia in cui non viene fatta un’accurata separazione tra assistenza e previdenza, falsando, quindi, i dati sul peso della previdenza sulla finanza pubblica e sul Pil italiano.

Andiamo con ordine, partendo da Pensions at a glance 2021. Il documento esamina l’impatto della pandemia sull’occupazione e lavoro dei giovani e sulle loro future prospettive previdenziali e conclude che mediamente in Europa l’età pensionabile verrà aumentata di oltre 2 anni.

La pandemia ha infatti costretto molte persone a lavorare meno, a non lavorare affatto, o ancora a farlo in condizioni particolarmente difficili, da casa o in un contesto di insicurezza sanitaria. Ad aver subito maggiormente gli effetti della crisi sono stati i giovani, che più frequentemente ricoprono posizioni lavorative precarie, meno pagate e quindi meno stabili. La crisi economica ha colpito soprattutto lavoratori più giovani. Sempre secondo Ocse invece, i pensionati in Europa sono stati mediamente più tutelati in questa fase: le pensioni sono state salvaguardate e, dove necessario, affiancate da misure di sostegno statale. Un aspetto sicuramente positivo, che però deve fare i conti con il progressivo invecchiamento della popolazione.

A oggi l’età media dei Paesi europei Ocse risulta infatti piuttosto elevata, e negli anni l’estensione dell’aspettativa di vita e il tasso molto contenuto di fertilità hanno fatto sì che il numero di pensionati aumentasse progressivamente. Una crescita su cui ha inciso solo marginalmente la mortalità in eccesso causata dal Covid-19, che ha portato a un calo nel numero degli anziani, nei Paesi Ocse, pari al -0,8%, e a un lieve alleggerimento del sistema pensionistico. L’Ocse rileva che l’Italia è il secondo Paese Ue per entità delle pensioni e del reddito dei lavoratori più anziani rispetto al reddito medio nazionale. La precede soltanto il Lussemburgo, dove mediamente le persone di più di 65 anni guadagnano il 107,8% del reddito medio della popolazione totale.

In Italia questa cifra si attesta invece al 100%, il che vuol dire che un pensionato guadagna quanto un lavoratore medio. In tutti gli altri paesi Ue facenti parte dell’Ocse, questo dato risulta inferiore al 100%, ma comunque non scende al di sotto del 67% registrato da Lettonia e Estonia. Analizzando poi anche la differenza tra persone di età compresa tra i 65 e i 75 anni e quelle di più di 75 anni, vediamo che i secondi guadagnano mediamente meno dei primi. In alcuni stati, il divario è abbastanza ampio. Prima tra tutti la Svezia, dove la differenza è pari a 26,7 punti percentuali, seguita anche in questo caso dall’Italia (18,7 punti).

Secondo l’Ocse, mentre le attuali pensioni sono state generalmente protette durante la pandemia, le condizioni risultano più incerte per chi proprio in questo periodo sta entrando nel mondo del lavoro. L’Ocse avverte che è ancora presto per fare previsioni conclusive in questo senso, e molto dipenderà dall’entità della crisi economica e dalla sua durata. Tuttavia, Pensions at a glance 2021 avverte che l’invecchiamento della popolazione e i possibili effetti a lungo termine della pandemia potrebbero quindi colpire molto duramente le pensioni dei giovani. In primis, ritardandole ulteriormente. Ad esempio, secondo le stime Ocse in Danimarca chi a 22 anni entra nel mercato del lavoro andrà in pensione a 74 anni. Sotto questo aspetto, secondo l’Ocse, l’Italia insieme all’Estonia è il secondo paese Ue. Attualmente, la pensione nel nostro paese è ottenibile già a partire dai 62 anni, mentre secondo le previsioni dell’Ocse questa cifra potrebbe salire a 71 anni. In Irlanda, Lussemburgo, Polonia, Spagna, Svezia, Cipro e Slovenia potrebbe invece non registrarsi alcuna differenza.

Attenzione, le stime Ocse si basano su dati forniti dal nostro Paese nei quali, però, come documentano da anni i rapporti del centro studi Itinerari Previdenziali ed ora quello della Confedir, della Feder.S.P e V e della APS Leonida, nonostante la normativa del 1989 che disciplina una netta separazione contabile nei bilanci Inps tra spesa previdenziale e spesa assistenziale, conclude che nel 2019 sulla base delle regole contabili europee, in Italia:

a) La spesa pensionistica assistenziale è stata di 114,270 miliardi di euro, pari al 6,39% del Pil.

b) La spesa pensionistica previdenziale è stata di 230,259 miliardi di euro, pari al 12,88% del Pil.

c) La spesa pensionistica previdenziale netta da assistenza è stata di 210,897 miliardi di euro, pari al 11,80% del Pil.

d) La spesa pensionistica previdenziale al netto delle imposte (pari a 54,196 miliardi di euro) è stata di 156,701 miliardi di euro.

e) La spesa pensionistica assistenziale è stata pari al 71,91% della spesa pensionistica previdenziale al netto delle imposte (114,270 miliardi di euro contro 156,701 miliardi).

g) Le entrate contributive al netto della quota Gias e Gpt sono state nel 2019 di 194,868 miliardi di euro.

h) Il saldo tra le predette entrate contributive e la spesa pensionistica previdenziale al netto delle imposte è stato nel 2019 di 38,167 miliardi di euro.

Un quadro ben differente da quello che appare dai documenti presentati alle istituzioni Ue ed Ocse.

Inoltre, il documento sottolinea che l’Inps dovrebbe prima rendere noti anche i dati economici sui contributi versati senza dare luogo a prestazioni pagati da milioni di lavoratori, noti come “contributori silenti” (lavoratori deceduti senza diritto a pensione, lavoratori deceduti senza superstiti, stranieri rimpatriati con bassa contribuzione, lavoratori che hanno versato, ma che poi hanno dovuto/voluto scegliere l’economia sommersa senza avere raggiunto il diritto a prestazione, disoccupati di lunga durata che non riescono a maturare requisiti minimi, donne che hanno perso il lavoro senza avere diritto a pensione, le prestazioni previdenziali non riscosse).

Sarebbe auspicabile prima di procedere con i lavori per una nuova riforma della previdenza, quanto meno con confronto tra gli autori del documento ministeriale e quelli delle analisi del Centro studi itinerari previdenziali e quelli dello studio della Confedir, della Feder.S.P e V e della APS Leonida. Lo scopo sarebbe di partire con una base di dati certi e condivisi.

Una sede possibile potrebbe essere il Cnel.

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