Draghi, per poter guidare efficacemente il governo, dovrebbe trovare l’occasione per parlare alla Nazione e dire che, date le circostanze, il suo ruolo è e resta a Palazzo Chigi per guidare l’attuale maggioranza nella procella della politica economica in tempo di pandemia. Il commento di Giuseppe Pennisi
Il presidente del Consiglio Mario Draghi non ha tenuto una conferenza stampa dopo la faticosa approvazione da parte del consiglio dei ministri dell’ultimo (per ora) decreto legge sulle misure restrittive anti-Covid. Non ha neanche fatto – come sarebbe stato auspicabile – un appello alla Nazione, analogo a quello del presidente francese Emmanuel Macron al fine di chiarire la posizione del governo nei confronti dei no vax e la strategia per sorreggere una ripresa economica che sta perdendo colpi. Silenzio, al tempo stesso, assordante ed eloquente.
Da un lato, su questi temi, la larga maggioranza è molto divisa. Da un altro, – questo è il punto più preoccupante – la sua posizione di guida della maggioranza si è indebolita da quando nella conferenza stampa del 22 dicembre, ha fatto comprendere, senza troppi mezzi termini, di essere disposto (anzi dispostissimo) da lasciare l’indirizzo del governo in caso di possibile ascesa al Quirinale. Ora è un birillo come gli altri o un lame duck della cui successione si discute apertamente (l’auto candidato più gettonato dalla parte politica a cui appartiene è il ministro della Cultura Dario Franceschini).
Eppure dal 22 dicembre ad oggi, il quadro economico è cambiato. Da un lato, si sta riaccendendo l’inflazione: in Italia l’aumento dei prezzi al consumo in dicembre ha sfiorato il 4% l’anno e sempre in dicembre negli Stati Uniti l’incremento netto dell’occupazione è stato di 200.000 assunzioni, inducendo le autorità monetarie a pensare ad un aumento dei tassi.
Un lavoro accademico dell’ufficio studi della Banca centrale europea (Endogenous Growth, Downward Wage Rigidity and Optimal Inflation di Mirko Abbritti, Agostino Consolo, e Sebastian Weber. Ecb Working Paper No. 2021/2635) suggerisce che pensieri analoghi girano a Francoforte. Da un altro, ogni sera ci viene ricordato che la variante Omicron sta causando una crescita dei contagi senza precedenti, mietendo vittime alla grande, e affaticando le strutture del Servizio sanitario nazionale (Ssn).
Da un altro ancora, il documento sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) inviato al Parlamento, a sua firma, la vigilia di Natale mostra che il piano che dovrebbe fare da cornice alla ripresa, è ancora in alto mare. In breve, manca proprio quella politica economica in tempo di pandemia che il Prof. Draghi è stato chiamato a formulare ed attuare con il supporto di (quasi) tutto l’arco politico.
La situazione è ben illustrata da un lavoro della direzione analisi economica del ministero dell’Economia e delle Finanze (The fiscal response to the Italian Covid-19 crises: a counterfactual analysis di Giovanni Di Bartolomeo, Paolo D’Imperio, Francesco Felici). Pur se retrospettivo in quanto relativo alla prima fase della pandemia) documenta, con analisi controfattuali quantitative, le difficoltà di una politica di bilancio ben calibrata in una fase di crisi sanitaria ed economica come questa. La politica di bilancio è il principale strumento di cui dispone il governo, dato che la politica monetaria è materia della Bce ed i tentativi di politica dei prezzi e dei redditi tentati in questi ultimi mesi non hanno avuto seguiti concreti.
A questo punto, per poter guidare efficacemente il governo, dovrebbe trovare l’occasione (non ne mancano) per fare un passo indietro: parlare alla Nazione per dire che, date le circostanze, il suo ruolo è e resta a Palazzo Chigi per guidare l’attuale maggioranza nella procella della politica economica in tempo di pandemia.
Dovrebbe fare un passo di lato (non necessariamente in pubblico), Silvio Berlusconi: verrebbe ricordato tra i “padri della Patria” se ritirasse la propria candidatura al Quirinale e facesse convergere i voti del centro-destra (che ha la maggioranza relativa del collegio elettorale presidenziale) su un non-candidato: Giuliano Amato. Ha esperienza – eccome – di guida di governi in tempo di crisi, conosce Draghi da quaranta anni ed in più occasioni ha lavorato con lui, saprà come sorreggere dal Colle un governo di unità nazionale in tempo di navigazione ardua e difficile, potrebbe anche facilitare un nuovo governo di unità nazionale dopo le elezioni politiche del 2023. Il suo nome susciterà mal di pancia nel Movimento 5 Stelle ed altrove, anche se la sua elezione al Quirinale sarebbe anche un atto di pacificazione nazionale.