La Polonia, grata per la galvanizzazione ricevuta dagli Stati Uniti tramite l’inclusione nella schiera dei partner occidentali “privilegiati” nei colloqui e nella condivisione di strategie e soluzioni, riconosce un comune denominatore che salda il proprio destino a quello ucraino
127 mila soldati sono stati schierati da Mosca lungo il confine ucraino. Un dato che rischia di divenire il detonatore di un conflitto che, ancora una volta, fa di Kiev il palcoscenico dello scontro tra il moderno imperialismo russo e la vituperata deterrenza americana.
Negli ultimi giorni è accaduto di tutto: dalle dimissioni presentate dal vice ammiraglio Kay-Achim Schönbach, capo della Marina militare tedesca, per via delle esternazioni pronunciate durante un convegno in India, alla richiesta formulata dall’ambasciata americana a Kiev e indirizzata al Dipartimento di Stato per l’evacuazione dei familiari del personale.
Diversamente dal governo polacco, che attraverso la voce del proprio ministro degli Esteri, rende noto di non voler programmare, per ora, né la ritirata del proprio personale diplomatico dall’Ucraina, né quella dei relativi familiari, pur continuando a monitorare minuziosamente la situazione.
Due vicende che saranno utili per comprendere le diverse identità di interessi degli attori in campo, e per spiegare al meglio il ruolo centrale assegnato alla Polonia in questo copione geopolitico.
Schönbach, oltre a evidenziare il comune background religioso tra Germania e Russia, aveva affermato che “l’Ucraina non riuscirà mai a recuperare la Crimea” e che “bisogna dare a Vladimir Putin il rispetto che merita”. Una convinzione, quella di una possibile e necessaria cooperazione economica tra Mosca e Berlino, che coinvolge gran parte degli apparati militari e statali tedeschi, e che avvalora l’impostazione della politica estera inaugurata dal cancellierato di Gerhard Schröder e portato avanti da Frau Merkel.
Un atteggiamento che indigna e irrita il governo di Varsavia e l’intera società polacca, indistintamente prede di una russofobia ancestrale.
Venerdì 21 febbraio, l’intelligence di Kiev ha accusato la Russia di contrabbandare più di 7.000 tonnellate di carburante, carri armati, artiglieria, munizioni e altre attrezzature nell’Ucraina orientale, destinati ai separatisti filorussi e di istituire centri di reclutamento di mercenari in Russia.
Per il ministro degli esteri Sergej Lavrov, inviato dal Cremlino a Ginevra per presenziare all’incontro con il segretario di stato Antony Blinken, l’allarmismo generato dall’intelligence americana e ucraina è del tutto infondato. Eppure, i 127.000 soldati sono ancora lì.
Così l’amministrazione di Joe Biden preannuncia nuove sanzioni economiche, il rafforzamento del fianco orientale della Nato e il riarmo dell’Ucraina, qualora la Russia dovesse sferrare il primo attacco.
Ricordiamo che nel 2014, dopo l’annessione della Crimea alla Federazione russa, gli Stati Uniti fornirono all’Ucraina attrezzature difensive pari a 2,7 miliardi di dollari, e in questi giorni stanno inviando nuove spedizioni di missili anticarro, munizioni e altri armamenti per un valore di 200 milioni di dollari.
I partner europei seguono l’esempio americano, e tra gli aiuti consegnati al Presidente Volodymyr Zelens’kyj, si annoverano gli aerei della RAF (Royal Air Force) e armi anticarro dal Regno Unito, il trasferimento di munizioni di artiglieria dalla Repubblica Ceca, il sistema missilistico terra-aria Stinger da Lituania e la Lettonia, e controcarri Javelin dall’Estonia. Invece, gli Stati baltici hanno dovuto ottenere, trattandosi di armi americane, l’approvazione del Dipartimento di Stato per le spedizioni.
Il Wall Street Journal riporta che tale permesso non è stato concesso agli estoni dai tedeschi, infatti Tallinn intendeva fornire anche all’Ucraina gli obici sovietici D-30, posseduti dalla DDR e che furono poi inviati all’ Estonia attraverso la Finlandia.
E mentre, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen comunica il varo, da parte dell’Unione Europea, di un nuovo pacchetto di aiuti finanziari all’Ucraina da 1,2 miliardi di euro, Francia e Germania si propongono come intermediari tra gli Alleati e l’Orso russo.
Secondo il governo polacco, questo “eccesso diplomatico”, ostentato soprattutto da Berlino, è una contraddizione voluta e interessata. La Germania è uno dei più grandi esportatori di armi del mondo, ha introdotto e ceduto materiale bellico al governo egiziano e al Pakistan, ma in questa vicenda prolunga il ritardo nell’invio di supporto militare all’Ucraina.
Tale temporeggiamento avrà, forse, a che fare con il Nord Stream 2?
Tuttavia, la Polonia non se ne starà con le mani in mano, proprio ora che la diplomazia polacca è particolarmente attiva, sia in quanto presidenza di turno Osce che in quanto Paese “Big Five” (Esc) e centro nevralgico sul fronte orientale della Nato, come si evince dall’inclusione del Presidente Duda nel novero del gruppo ristretto di interlocutori individuato dalla Casa Bianca per coordinare la risoluzione alla crisi.
Su Radio ZET Paweł Jabłoński, il vice ministro degli esteri polacco, afferma che “Varsavia fornirà all’ Ucraina tutto l’aiuto che sarà necessario e che avrà le possibilità di prestare”, e aggiunge “speriamo che la situazione si calmi e che la Russia indietreggi e ponga fine a simili azioni, che violano il diritto internazionale”.
Ad onor del vero, il dialogo costante con Kiev ha spinto la Polonia ad essere il front-state del “Triangolo di Lublino”, un’organizzazione internazionale resa funzionale dalla cooperazione regionale, commerciale, politica e culturale, e istituita allo scopo di facilitare l’integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella Nato.
In sintesi, i capisaldi dell’attività diplomatica “a più livelli”, legata ad una politica estera monotematica, e condotta dal Presidente Andrzej Duda, si esplicano nella centralità della Polonia e nel suo triplice ruolo di membro dell’Ue, alleato Nato e presidente di turno Osce, nella solidità della sfera atlantica e nell’indiscusso sostegno a Kiev, da decenni agevolata dal partenariato orientale di cui Varsavia è la principale promotrice.
L’attraversamento di camion militari russi in Bielorussia e l’avvicinamento di carri armati e blindati alla stazione di Rzhechitsa, fanno dei remoti timori polacchi una reale minaccia alla sicurezza dei quattro paesi dell’est Europa che confinano con l’Ucraina.
Nonostante, il Commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni, attraverso le sue ultime dichiarazioni, abbia classificato le “sfere d’influenza” come un retaggio anacronistico della guerra fredda, per Varsavia rappresentano una categoria novecentesca ancora valida. Dato che l’indipendenza o l’annessione dell’Ucraina influenzerebbe radicalmente il suo primato nel porsi come prototipo di riferimento per i paesi che un tempo subivano l’egemonia sovietica e che oggi aspirano a fare il proprio debutto sul palcoscenico dell’Ue.
Senza contare, le preoccupazioni inerenti al controllo di oltre 500 km di confine, che comporterebbe una crisi nella fornitura di materie prime e, in caso di conflitto armato, per l’eventuale afflusso di rifugiati.
Duda e Zelens’kyj, durante l’incontro bilaterale avvenuto a Varsavia, hanno condiviso il rifiuto del concetto di spartizione dell’Europa secondo modelli diffusi nel periodo post-bellico, quando bastò una matita e una cartina geografica sul tavolo di Jalta per marcare il dominio delle due super-potenze, uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale. In più Duda, oltre a ribadire l’appoggio di Varsavia alle smanie euro-atlantiche di Kiev, ha garantito il sostegno polacco all’Ucraina in caso di concretizzazione dell’aggressione russa, evitando però di menzionare un potenziale impiego militare, ma indentificando nelle sanzioni la forma principale di ritorsione da adottare nei confronti della Russia. A conferma della totale adesione alle direttive provenienti da Washington, il responsabile dell’ufficio per la Sicurezza Nazionale Paweł Soloch, ha dichiarato ai media che “non è assolutamente previsto l’invio di truppe polacche in Ucraina, sia per il rispetto della posizione degli Alleati, sia perché gli stessi ucraini hanno fatto presente di esser pronti a difendersi da soli in caso di aggressione”.
Dunque la Polonia, grata per la galvanizzazione ricevuta dagli Stati Uniti tramite l’inclusione nella schiera dei partner occidentali “privilegiati” nei colloqui e nella condivisione di strategie e soluzioni, riconosce un comune denominatore che salda il proprio destino a quello ucraino.
Una croce commissionata dalla storia e dalla stratificazione degli eventi che furono e affidata alla resistenza interiore di entrambi i Paesi, costretti a convivere tra il desiderio di indipendenza, l’incessante minaccia che echeggia al di là degli Urali, e l’impossibilità di fare a meno dello scudo a stelle e strisce.
Anche per questo, da giorni, i giornali polacchi esibiscono un titolo simile a quello creato dal giornalista Jerzy Haszczyński: “Ancora una volta ci è rimasta solo l’America”.
Ma, per onestà intellettuale e per dare risalto alla verità dei fatti, è giusto affermare che se Varsavia non può recidere il cordone ombelicale con gli alleati atlantici, è anche vero che l’Occidente non può fare a meno di una pedina strategica come la Polonia. Mai come ora, il governo polacco ha smascherato l’inefficacia di istituire una sorta di struttura laterale e parallela alla Nato, quando basterebbe rafforzare la presenza americana ai confini e valorizzare l’interlocuzione con i Paesi dell’est Europa.
In tempi non sospetti, a seguito del conflitto “normativistico” tra la Polonia e Bruxelles, aleggiava l’ipotesi che fosse necessario salvare il dialogo con Varsavia “whatever it takes”. Oggi ne abbiamo la certezza.
Benché Berlino tenti di “silenziare” e affievolire i tumulti e le paure di quel che resta della Mitteleuropa, spacciandoli per paranoie.