A imbracciare le redini del carro dell’elezione diretta del Capo dello Stato c’è Fratelli d’Italia e la sua leader Giorgia Meloni che ieri mattina per annunciare il voto a Guido Crosetto ha rilanciato la proposta di restituire direttamente ai cittadini la scelta del Presidente della Repubblica. Ma non è stata l’unica… L’analisi di Domenico Giordano, Arcadia
Siamo solo al quarto giorno di votazione tra rose che appassiscono nello spazio di un mattino, nomi super partes che diventano in un tweet candidati di una sola parte da azzoppare e il divertissement dei “grandi elettori”, che ci restituisce la dimensione onnivora di una politica iper leaderizzata, che ammazzano il tempo dell’attesa giocherellando con le preferenze come se fossero bazzecole, quisquilie e pinzillacchere.
E mentre rotolano giù dal patibolo mediatico più teste di quirinabili di quelle ghigliottinate da Robespierre e dai suoi sodali del Comitato di salute pubblica, è tornato di gran moda, questa volta online considerato che i salotti soffrono ancora della diaspora pandemica, il dibattito sul presidenzialismo all’italiana.
A imbracciare le redini del carro dell’elezione diretta del Capo dello Stato c’è Fratelli d’Italia e la sua leader Giorgia Meloni che ieri mattina per annunciare il voto a Guido Crosetto rilancia la proposta di restituire direttamente ai cittadini la scelta del Presidente della Repubblica.
I tre post pubblicati dalla Meloni su Facebook (75.435), Instagram (34.367) e Twitter (4.951) si portano a casa una vagonata di reaction, anche perché furbescamente aggancia all’amo del presidenzialismo l’esca migliore che potesse tirare fuori dalla cesta del repertorio populista: “Lo stallo di questi giorni è un insulto agli italiani”.
A dar manforte alla proposta, però a differenza del passato in cui era rimasta confinata esclusivamente nel recinto culturale del centrodestra, c’è questa volta un fronte più ampio e articolato a sostegno a cominciare da Matteo Renzi che proprio ieri ha ribadito la sua posizione schierandosi a favore dell’elezione diretta del Capo dello Stato.
Ma prima di recuperare le altre prese di posizioni c’è da capire quanto il ritorno di fiamma per il presidenzialismo sia una conseguenza dettata più dall’insofferenza diffusa, certo non da ieri, verso le liturgie costituzionali e della politica che non si sposano più con la velocità e la disintermediazione della platform society o, di contro, possa essere il frutto di una visione ampia di riscrittura condivisa della nostra Carta per rispondere alle sfide attuali e riconnettere virtuosamente cittadini e istituzioni.
Il dilemma che alcuni leader indossino il salvagente del presidenzialismo per scansarsi una parte degli schizzi dell’antipolitica digitale c’è tutto, ma di certo non riguarda politici come Stefano Pedica, di +Europa, il sindaco di Venezia e presidente di Coraggio Italia, Luigi Brugnaro o Antonio Palmieri deputato di Forza Italia che in un lungo post pubblicato ieri sera sulla pagina scrive che questo meccanismo di elezione del Presidente “è arcaico e superato”.
Per chiudere, solo momentaneamente, il censimento delle diverse voci che in questi giorni di polarizzazione del dibattito si sono espresse per un ripensamento del sistema elettorale è utile riprendere anche il ragionamento di Antonio Polito che se un lato si chiede se ha senso che “il Capo dello Stato sia ancora scelto senza consultare il popolo italiano”, dall’altra, partendo dall’esempio del modello deluchiano di gestione autoritaria del potere, denuncia la mancanza di adeguati regole e controlli nel nostro sistema istituzionale, “per cui, nel frattempo, e finché non verranno introdotti, meglio eleggere il Capo dello Stato alla vecchia maniera. Il presidenzialismo non è per tutti. Una cosa è una presidenza Macron, un’altra una presidenza Bolsonaro. O De Luca”.