Minimi comun denominatori fra i parlamentari a Cinque Stelle, ce ne sono pochi, anzi forse uno solo: far continuare la legislatura. Attorno a questo asse si possono mettere in fila le opzioni che si presentano al partito, le carte da gioco diciamo così. La rubrica di Corrado Ocone
Anche se i 233 parlamentari del Movimento sono oggi un terzo di quelli eletti quattro anni fa (338 per la precisione), i Cinque Stelle restano comunque il partito di maggioranza relativa nelle due Camere, arrivando ad esprimere più di un quinto dei Grandi Elettori che il 24 gennaio si riuniranno per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Anche se teoricamente è possibile che sia eletto un Presidente della Repubblica senza i loro voti, ogni analisi seria deve considerare in prima istanza gli interessi e le intenzioni dei grillini.
In verità, di punti fermi, o meglio di minimi comun denominatori fra i parlamentari a Cinque Stelle, ce ne sono pochi, anzi forse uno solo: far continuare la legislatura. Attorno a questo asse si possono mettere in fila le opzioni che si presentano al partito, le carte da gioco diciamo così.
1. È chiaro che per i Cinque Stelle la soluzione migliore sarebbe che tutto restasse come è, e che quindi Mario Draghi restasse a Palazzo Chigi e Sergio Mattarella al Quirinale. La presa di posizione del gruppo al Senato, a cui probabilmente si aggiungerà la settimana prossima quella dei deputati, a favore di una pressione da esercitare su Mattarella perché resti, è perciò perfettamente razionale in sé, anche se non fa i conti con la fermezza del Capo dello Stato che lascia pochi margini di manovra in questa direzione
2. Ma se Mattarella, come è altamente probabile, per non dire sicuro, va via, quale soluzione presidenziale è per i grillini preferibile? Ovvero, quale è quella che più può garantire la continuazione della legislatura? Qui molto dipende pure dagli altri partiti, i cui desiderata i grillini devono tener da conto. E anche dallo stesso premier, il quale, se si trovasse al Colle un presidente diverso e casomai eletto con un’altra maggioranza, potrebbe dimettersi. Non per una questione di orgoglio, o di disappunto, ma semplicemente per prevenire l’esito più plausibile: l’impossibilità di governare in maniera efficace e quindi la possibilità concreta di mandare al macero quella credibilità personale e reputazione, anche e soprattutto internazionale, che ha adesso. Teoricamente, potrebbe nascere un governo a “maggioranza Ursula”, e al limite (anche se è difficile) anche uno con una maggioranza simile a quella del secondo governo Conte e quindi senza Forza Italia. Che la strada sia a dir poco in salita, appare evidente.
3. Cosa succederebbe invece se al Quirinale salisse Draghi? Ovviamente questo avverrebbe con una maggioranza ampia, visto che l’uomo non accetterebbe di essere eletto da una sola parte. Ma il governo cadrebbe o no? Direi non necessariamente, soprattutto se ci fosse un accordo preventivo. Probabilmente, a quel punto, la Lega uscirebbe dalla maggioranza, ma una maggioranza corta per l’esecutivo ed una larga per il Colle è tollerabile anche se non vale il contrario.
4. Certo, si potrebbe poi inserire in questo puzzle un ulteriore elemento di complicazione, anche se qui si lambisce un po’ il campo della fantapolitica. E se Giuseppe Conte, che non controlla il Movimento, come è ormai palese, tifasse sotto sotto, contro gli interessi dei suoi stessi parlamentari, per le elezioni anticipate? Certo, dalle urne uscirebbe un Movimento molto ridimensionato, ma comunque con una discreta pattuglia di parlamentari visto che un dieci per cento almeno dei voti dovrebbe comunque essere oggi alla sua portata. Parlamentari che a quel punto sarebbero stati da lui scelti, data la legge elettorale, e quindi controllabili. Ipotesi molto teorica, quest’ultima, anche perché Conte è molto “controllato” (e in questo senso, come si dice, “commissariato). Direi prima di tutto dall’altro pezzo forte del Movimento, Luigi di Maio.
5. Quanto all’opzione “una donna al Colle”, lanciata dallo stesso Conte, mi sembrerebbe da non prendere troppo sul serio: si tratta di un’altra di quelle bandierine ideologiche che i Cinque Stelle, fedeli al loro populismo, continuano ogni tanto a piantare. Una scartina, più che una carta da gioco. Il che, ovviamente, non significa che alla fine dei giochi non possa venir fuori il nome di una donna. Ma lo sarebbe in quanto persona autorevole e con le credenziali politiche giuste, non in quanto donna semplicemente e a prescindere.