Il gioco del Capo dello Stato è in mano a Berlusconi e Renzi. Tutti devono dialogare con loro. Il resto è fantasia politica. In questa logica l’M5S non avrebbe scelta se non far digerire all’interno l’unico accordo esistenziale per sperare di contare nel futuro federativo con Pd: sostenere una linea già sperimentata ovvero votare Casellati
Inizia una settimana particolare. Probabilmente l’ultima piena di Sergio Matarella al Colle. Siamo alla vigilia del voto che ci porterà al nuovo Presidente della Repubblica. C’è una voglia diffusa, percepibile ascoltando la gente per strada, di un Presidente capace di prendere per mano gli ultimi e congiungerli alla ripartenza; non trascurando, al contempo, chi sta comunque mantenendo la botta forte della crisi come può e con dedizione (industrie in primis).
Ecco, c’è da dire che il Capo dello Stato questo (cioè prender per mano) non lo farebbe materialmente (è ovvio), ma spiritualmente. Perché senza detto approccio alcun governo si porrebbe nel pratico della risoluzione dei problemi. Necessario quindi è il connubio tra Costituzione e Politica.
Il ché non prescinde, appunto, dalla fiducia che il Paese, tramite il Parlamento attuale, riporrà nella prima carica dello Stato. C’è da dire che il Parlamento che verrà sarà molto diverso sia per forma che per sostanza (600 parlamentari).
Personalmente credo che il “moderatismo pragmatico” segnerà i prossimi 10, 20 anni a prescindere da destra, sinistra, antipolitica, ecc. Allora bisogna essere realisti e possibilisti rispetto a due elementi di valutazione primaria:
– le sfide che ci attendono (pandemia, ambiente e ripensamento dell’economia);
– i numeri e i rapporti di forza in Parlamento.
Chi ha il gioco in mano? Di tutta evidenza sono Berlusconi e Renzi. Tutti devono dialogare con loro. Il resto è fantasia politica. In questa logica di cose il M5S non avrebbe scelta se non far digerire all’interno l’unico accordo esistenziale per sperare di contare (e far pesare sé stesso) nel futuro federativo con Pd: sostenere una linea già sperimentata ovvero votare Casellati.
Il Pd Lettiano deve cercare con l’altro Letta (Gianni) una finestra di dialogo con Berlusconi per non dare troppa forza interna (in questo in numeri non contano) alla coppia D’Alema-Bersani e non rischiare che il Colle sia espressione dell’altro binomio Salvini-Meloni.
Ora, per chi un pochino conosce Salvini e Meloni (in termini di logica politica) sa bene che puntare su Berlusconi in questi giorni è l’unica strada per stimolare una apertura parlamentare seria su un “Presidente inedito” e che garantisca il quadro proporzionale del voto del 4 marzo 2018 ma con l’attualità di senso politico. Sicché, comunque vada, avremo un grande Presidente. A prescindere da quel che il chiacchiericcio del momento sta alimentando, la mossa Berlusconi, quindi, è di pura tattica-sacrificio.
Poi, per carità, nessuno è mago Merlino. Dico solo che la politica è gioie e dolori. Ma per apprezzarla, come tutte le cose, va sofferta (sperando non soffrano troppo gli italiani per l’indecisione del Parlamento).
Di certo Draghi al Colle assicurerebbe una cerniera solida per 7 anni tra dinamiche europee ben conosciute e peso internazionale consolidato. Ma c’è un problema di sostanza: non risponde ad politicamente, ma è la politica che cerca da lui risposte per arrivare a fine legislatura. Il punto di fondo è, però, cosa vuole il Parlamento e con che numeri si vorrà esprimere.
Per questo, tenuto conto della composizione delle due Camere e della necessità, oggettiva, di avere Draghi a Palazzo Chigi (per tutto ciò che sappiamo), la continuità istituzionale, posto che Mattarella ha già detto più volte di non voler proseguire oltre, potrebbe portare ad una figura di alto profilo e che abbia già esperienza sul piano dell’incarnazione istituzionale.
Casellati, tra l’altro, ha alle spalle un voto che ha unito. Non è poco. Così pare.