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Quando Ratzinger tuonava contro il male della Chiesa

Di Simone Billeci

Professiamo di credere la santa Chiesa (Credo […] Ecclesiam), e non nella Chiesa. E “nonostante tutto”, rimane in noi la ferma convinzione che al di fuori di essa non v’è salvezza, extra ecclesiam nulla salus. Il commento del teologo Simone Billeci

Da qualche giorno nessuna agenzia di stampa o d’informazione si è risparmiata nel dare notizia del rapporto sull’Arcidiocesi dell’allora cardinal Joseph Ratzinger, circa i casi di pedofilia e le sue 497 vittime. L’indagine, condotta dallo studio legale Westpfahl Spilker Wastl, riguarda un arco temporale di 70 anni, dal 1945 al 2019.

Secondo quanto emerso dal rapporto indipendente sulla pedofilia del clero dell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga, di cui Ratzinger fu Arcivescovo dal 1977 al 1981, sono almeno 497 le vittime degli abusi. Si tratta, per lo più, di giovani di sesso maschile, il 60 per cento dei quali di età compresa fra gli 8 e i 14 anni. Gli abusatori sono almeno 235, fra cui 173 preti, 9 diaconi, 5 referenti pastorali e 48 persone dell’ambito scolastico. Numeri davvero mostruosi, ai quali si aggiunge che il Papa emerito viene accusato di negligenza in quattro casi nel periodo in cui guidava l’Arcidiocesi bavarese. Accuse che Benedetto XVI, dal Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano dove vive ritirato dopo le dimissioni, ha respinto fermamente in una dichiarazione scritta allegata al rapporto.

Una “tegola pesantissima” sulla vita di Benedetto XVI – così l’ha definita Francesco Antonio Grana, lo scorso 20 gennaio, dalle pagine della testata online de il Fatto Quotidiano – e sull’intera Chiesa cattolica.

Chissà se l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede pensava a tutto ciò, in quell’indimenticabile meditazione sulla IX stazione della Via Crucis al Colosseo nel 2005, davanti ad un Papa polacco silenzioso ed immobile che seguiva dalla sua cappella aggrappato al Crocifisso.

“Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!”. Parole affilate come lame contro la sua Chiesa, inaspettate, quasi da rivoluzionario, come l’ha poi battezzato il settimanale The Time inserendolo tra i 20 leader che avrebbero cambiato la storia. Qualcuno nelle sue parole pasquali aveva visto una confessione sotto la croce di Cristo. Un altro capitolo, un altro segno. Le parole di Ratzinger erano state un urlo, un boato. E concludeva: “Non ci rimane altro che rivolgerGli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci”.

Nell’udienza dello scorso 6 ottobre, commentando gli altrettanti considerevoli numeri di vittime della pedofilia nella Chiesa di Francia, emersi dal Rapporto della Commissione incaricata, Papa Francesco ha parlato del “momento della vergogna”.

Difficile – tanto tra i credenti, quanto più tra i non credenti – continuare a vedere in una simile Chiesa la realtà voluta dal Signore stesso. Le colpe dei singoli diventano le colpe della Chiesa. Ma la fedeltà della Sposa di Cristo non è messa in questione dalle infedeltà dei suoi membri.

Ecclesia semper reformanda, la Chiesa è sempre bisognosa di riforma. Il concilio Vaticano II è stato chiaro a riguardo: “Benché la Chiesa, per la virtù dello Spirito Santo, sia rimasta la sposa fedele del suo Signore e non abbia mai cessato di essere segno di salvezza nel mondo, essa tuttavia non ignora affatto che tra i suoi membri sia chierici che laici, nel corso della sua lunga storia, non sono mancati di quelli che non furono fedeli allo Spirito di Dio. E anche ai nostri giorni sa bene la Chiesa quanto distanti siano tra loro il messaggio ch’essa reca e l’umana debolezza di coloro cui è affidato il Vangelo. Qualunque sia il giudizio che la storia dà di tali difetti, noi dobbiamo esserne consapevoli e combatterli con forza, perché non ne abbia danno la diffusione del Vangelo” (Gaudium et Spes, 43).

Forse, bisogna ritrovare il senso della Chiesa come Chiesa del Signore, come spazio della reale presenza di Dio nel mondo. Dietro la facciata umana, infatti, sta il mistero di una realtà sovrumana. Quel mistero di cui parla ancora il Vaticano II, quando scrive quelle parole terribilmente impegnative e che pure corrispondono a tutta la tradizione cattolica: “La Chiesa, cioè il regno di Cristo già presente in mistero” (Lumen Gentium, 3). Mistero che ha origine in Dio – Ecclesia de Trinitate -, secondo quanto ancora dettato dal concilio, nel magistrale recupero della lezione di san Cipriano: “Così la Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Lumen Gentium, 4). La Chiesa, dunque, non è nostra, è Sua.

Nel Simbolo degli Apostoli professiamo di credere la santa Chiesa (“Credo […] Ecclesiam”), e non nella Chiesa, per non confondere Dio con le sue opere e per attribuire chiaramente alla bontà di Dio tutti i doni che egli ha riversato nella sua Chiesa (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 750). E “nonostante tutto”, rimane in noi la ferma convinzione che al di fuori di essa non v’è salvezza, extra ecclesiam nulla salus.

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