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La transizione verde passa anche dallo spazio. La versione di Salini (FI-Ppe)

Non basta potenziare i sistemi di eccellenza come Copernicus o Galileo. È il momento di creare le condizioni per lo sviluppo delle innumerevoli applicazioni pratiche per l’utilizzo dei dati satellitari ponendoli al servizio di una transizione ecologica dal volto umano. Lo racconta sulla rivista Airpress Massimiliano Salini, europarlamentare FI-Ppe e relatore del Programma spaziale europeo

Il forte orientamento del settore spazio all’innovazione, la propensione a generare servizi utili per i cittadini e la capacità di creare nuovi posti di lavoro in filiere industriali e start up, fanno del Programma spaziale europeo un modello ideale d’investimento per gli Stati membri, in grado di fare la differenza per una ripresa di lungo periodo, sostenibile sia sotto il profilo ambientale sia economico-sociale. La tutela del pianeta e la difesa di un ambiente ospitale per l’essere umano sono, infatti, obiettivi inseparabili. In piena sintonia con il piano Next generation Eu e il Recovery plan, che guardano ai settori strategici dell’economia, lo Space program è l’esempio vincente di un metodo di lavoro valido a lungo termine, una modalità di approccio. Tanto più attuale quanto centrale è oggi il concetto di sostenibilità.

Di fronte alla sfida della transizione ecologica e digitale, infatti, per ridurre le emissioni di CO2 e ridurre l’inquinamento ci sono due strade possibili. La prima, più ideologica, è rappresentata da scelte politiche tese a comprimere l’attività umana, con danni imprevedibili sul piano socioeconomico. La seconda, improntata al realismo, misura invece le decisioni dei legislatori non su obiettivi astratti e difficilmente raggiungibili, ma sulla capacità dell’innovazione tecnologica di alimentare una crescita che guardi anche alle esigenze delle imprese. Rimettere al centro l’innovazione è proprio quello che abbiamo fatto disegnando le politiche spaziali europee per accompagnare la transizione. Ora, stanziato il budget più alto di sempre, 14,8 miliardi di euro tra 2021 e 2027, e impostata una governance chiara con una netta separazione di ruoli tra Commissione, Esa ed Euspa, stiamo promuovendo una nuova, ambiziosa, sfida.

Non basta solo potenziare i sistemi di eccellenza, i cosiddetti “upstream”, come il servizio satellitare per l’osservazione della Terra Copernicus o il sistema di navigazione e geolocalizzazione più accurato del mondo, Galileo, utilizzato da un miliardo di dispositivi. È il momento di fare un passo in più, creando le condizioni per lo sviluppo del “downstream” e delle innumerevoli applicazioni pratiche per l’utilizzo dei dati satellitari, dal monitoraggio delle emissioni di CO2 alla protezione civile, dall’analisi dei cambiamenti climatici all’agricoltura di precisione, ponendo il tutto al servizio di una transizione, per così dire, dal volto umano.

Un settore spaziale competitivo e fiorente è un fattore abilitante di una simile transizione, verde e digitale. Le possibili applicazioni in agricoltura sono emblematiche del potenziale circolo virtuoso innovazione-transizione-crescita che lo spazio, settore che conta quasi il 10% del Pil dell’Ue, può innescare e alimentare nel tempo. Oggi l’integrazione del reddito agricolo attraverso la Pac è subordinata a interventi ambientali sempre più stringenti ma sempre meno compatibili con il mantenimento stesso dell’attività agricola, come i periodi dell’anno durante i quali l’agricoltore non dovrebbe entrare in campo, o come i vari eco-schemi o i target del biologico. Per inciso, le prime analisi della strategia alimentare sostenibile dell’Ue “Farm to fork” confermano che, se rispettassimo tutte le indicazioni sull’agricoltura biologica, non avremmo abbastanza cibo per sfamare le persone.

Dunque, se vogliamo evitare che la nostra strategia green riduca l’attività umana, scivolando nella decrescita, abbiamo una sola alternativa: innovare. Un conto è dire all’agricoltore di fermarsi tout-court per un certo periodo di tempo, una discutibile “non-azione” a tutela dell’ambiente; un altro è servirsi, per esempio, dei sistemi di osservazione e localizzazione satellitare per verificare le condizioni del campo agricolo e intervenire in modo chirurgico, usando la tecnologia per evitare sia danni ambientali al terreno sia perdite economiche legate a giorni di inattività. L’innovazione tecnologica, di cui lo spazio è modello, è un partner straordinario del Green deal e può aiutarci a evitare le ricadute destrutturanti di obiettivi ambientali elaborati in astratto senza alcuna analisi dell’impatto sulla realtà.

Questo scollamento dalla vita reale è un errore che combattiamo anche nella mobilità, opponendoci all’equazione “decarbonizzare uguale elettrificare” implicita nel pacchetto Fit-for-55. Una pericolosa semplificazione che mette al bando i motori a combustione interna dal 2035 a scapito di soluzioni tecnologicamente avanzate come i carburanti alternativi, rischiando così non solo di distruggere la filiera italiana dell’automotive ma di costringere le persone a non muoversi più in auto, visto che tra 14 anni non saremo certo in grado di immatricolare esclusivamente veicoli elettrici. Per i decision maker, insomma, eliminare i capricci riduzionisti e iper-ambientalisti è una priorità: dobbiamo impedire che l’essere umano finisca paradossalmente per diventare l’ospite indesiderato delle politiche europee.

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