Lo sciopero generale dello scorso 16 dicembre è stato indetto con motivazioni poco credibili, ma non solo. A freddo, si può vedere che delle richieste portate in piazza, nessuna ha avuto un seguito. Il commento di Mario Baldassarri, economista ed ex viceministro dell’Economia
L’anno scorso, tre settimane fa, si è “celebrato” lo sciopero generale di Cgil-Uil. Ve lo ricordate? Forse è utile qualche riflessione “a freddo”. Lo sciopero è un diritto sacrosanto, pietra fondante della democrazia. Ogni sciopero però va valutato rispetto alle motivazioni, al contesto economico e sociale ed ai risultati.
Su quello del 16 dicembre scorso, indetto da Cgil e Uil, la Cisl si è subito e nettamente dissociata, sia sul metodo che sui contenuti facendo valere i positivi risultati ottenuti dal confronto tra governo e parti sociali. Occorre risalire al referendum sulla scala mobile del 1985 per vedere una forte spaccatura tra Cgil e Cisl. E purtroppo allora le Brigate Rosse ne approfittarono per uccidere il grande e lungimirante economista Ezio Tarantelli.
Sulle motivazioni Fedro direbbe: “Superior stabat Landini, longeque inferior Draghi” aggiornando la sua famosa favola del lupo e dell’agnello.
A caldo Landini e Bombardieri hanno motivato la loro decisione con un paradossale tentativo di “dividere” il presidente Draghi dal suo governo e dai partiti che compongono la larga maggioranza. Hanno infatti detto che il presidente Draghi aveva proposto una mediazione non dando la riduzione Irpef ai redditi superiori ai 75000 euro, chiamandolo contributo di solidarietà che sarebbe stato utilizzato per il caro-bollette. Sono stati i partiti di maggioranza che hanno respinto la mediazione del presidente del Consiglio. Si è anche arrivati a dire che lo sciopero generale era indetto a “sostegno” di Draghi e “contro” i partiti della sua maggioranza che non lo ascoltano.
È subito apparso chiaro a tutti che la pezza era peggio del buco.
Quell’eventuale contributo di solidarietà sarebbe stato pari a 250 milioni di euro, una cifra irrisoria in sé e anche rispetto al fatto che il governo aveva già stanziato quasi 4 miliardi per frenare il caro-bollette.
Nella conferenza stampa di presentazione dello sciopero e in tutte le successive apparizioni televisive si è poi tentato di condire quello specifico appiglio con argomentazioni ben più serie e consistenti: i bassi salari italiani, la precarietà di milioni di lavoratori, la disoccupazione giovanile, le pesanti differenze rispetto alle donne sia come occupazione che come retribuzioni, la mancanza di asili nido e di basilari servizi sociali, la necessità di una riforma fiscale strutturale e permanente con aumento delle detrazioni e della no-tax area che dia risorse a chi non può avere riduzioni di Irpef perché, con redditi bassi, l’Irpef non la paga comunque, la revisione del sistema pensionistico, gli ammortizzatori sociali e le politiche attive del lavoro ecc.
Prendiamo ad esempio solo la riforma fiscale.
La riforma fiscale vera e strutturale è stata da tempo rinviata al prossimo anno in un disegno di legge delega che dovrà definirne i contorni ed i contenuti specifici. Ciò che il governo ha inserito nella legge di bilancio 2022 non è una riforma fiscale ma una semplice e modesta rimodulazione delle aliquote e delle detrazioni che riduce di poco le tasse sui redditi medi e medio-bassi.
Tutte queste argomentazioni sono sacrosante e richiedono certamente un forte impegno dei sindacati. Ma queste piaghe sociali sono la sommatoria di irresponsabilità accumulate almeno negli ultimi due decenni da tutte le forze politiche, alternativamente al governo ed all’opposizione, ed anche dalle stesse rappresentanze imprenditoriali e sindacali.
È allora palese che il lupo, dopo aver accusato l’agnello di sporcargli l’acqua (cosa contraria alle leggi della fisica visto che lui sta a monte ed il povero agnello a valle), “ha tenuto il punto” dicendo che se non proprio lui ma certamente suo padre e suo nonno gli avevano sporcato l’acqua in precedenza.
Sul contesto economico sociale è evidente a tutti che c’era in corso la quarta rischiosa ondata della pandemia, c’era da varare la legge di bilancio, c’era da far partire concretamente i progetti del Pnrr. Su questo quale ruolo poteva giocare la fermata del lavoro per otto ore del 16 dicembre scorso?
È anche per questo evidente che i risultati non potevano che essere pressoché inesistenti. Landini e Bombardieri sono però persone avvedute e con grande esperienza sindacale e quindi perché hanno voluto sparare col cannone dello sciopero generale verso il passerotto della legge di bilancio 2022? Forse c’è una motivazione più profonda.
Da anni ormai il numero degli iscritti ai sindacati è in riduzione forte e progressiva. Oltre la metà degli iscritti è fatta da pensionati, il resto sono lavoratori a posto fisso-tempo indeterminato. Pochi sono a tempo determinato, quasi nessuno precario con contratti brevi e saltuari o pseudo-stagisti o partite Iva fittizie, come gli addetti alle consegne a domicilio.
Sono queste le sfide decisive per la rappresentanza sindacale dei prossimi anni. Ma queste sfide richiedono strategie di medio termine, non tattiche a venti giorni amplificate col megafono delle otto ore di sciopero generale.
E qui Fedro potrebbe dire che il vero motivo era ed è: “Sciopero ergo sum”.
Oppure in italiano: “Passata la festa, gabbato lu santo?”