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Basta paura del Covid, correte a fare screening per i tumori. L’appello di Schittulli (Lilt)

Ci aspetta una pandemia di cancro se continuiamo a rinviare screening, visite e operazioni per paura di prendere il Covid. L’allarme e le proposte del prof. Francesco Schittulli, senologo e presidente della Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt)

Il cellulare squilla nella pausa tra due interventi. “Buongiorno, ho appena operato una donna di 42 anni. Purtroppo ho dovuto rimuovere tutta la mammella. Se si fosse controllata dopo aver trovato un nodulo, oltre due anni fa, l’intervento sarebbe stato molto meno invasivo. Ma, spaventata dalla pandemia, ha rinviato gli screening. E come lei centinaia di migliaia di pazienti oncologici. Basta, ai pazienti dico di non rinviare neanche di un giorno la prossima visita. E alla politica dico che il terrorismo sul Covid deve finire, o ci costerà migliaia di vite”.

Francesco Schittulli, presidente della Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt), senologo di fama internazionale e già primario e direttore scientifico dell’Istituto Tumori di Bari, vuole lanciare un appello: non possiamo mettere in stand-by le cure oncologiche.

Cosa ha osservato in questi due anni?

Pazienti che evitano le strutture sanitarie per non rischiare di contagiarsi. Screening abbandonati, operazioni rinviate. Specialmente al Sud, campagne di prevenzione azzerate. Capisco la paura per un virus pericoloso, ma ogni giorno in questo Paese oltre 500 persone muoiono di cancro, e 1.000 ricevono una diagnosi di tumore maligno. Se non ci occupiamo di loro, nei prossimi anni il numero dei morti salirà vertiginosamente. La missione della Lilt è la prevenzione come metodo di vita. I tumori non sono solo curabili ma guaribili, tutto dipende però dalle diagnosi precoci. Più tempo passa più le cure saranno pesanti, più peggiora la qualità della vita, più cresce il danno economico e sociale che ricade sulla collettività. Dunque fare più test, analisi e visite non è un costo, è un risparmio.

Come fare a sensibilizzare pazienti e politici per questa emergenza?

Visto che il modello del bollettino ci accompagna da due anni, facciamone uno che dica ogni giorno quante persone muoiono di cancro. L’anno scorso ci sono stati 380mila nuovi casi. Sensibilizziamo le persone, spingiamole verso le diagnosi precoci, e i casi si abbatteranno clamorosamente. Forse potrebbe aiutare una tabella quotidiana che dica quanti sono i casi scoperti, quanti sono i ricoverati presso le strutture sanitarie (normalmente si tratta del 40% del totale), quanti stanno ricevendo un trattamento chirurgico, radiante o chemioterapico. Quanti hanno superato la fase del “limbo” dei 5 anni, la soglia per essere considerati guariti.

Possiamo puntare sui fondi del Pnrr per investire sulla prevenzione?

I fondi sono pochi e non vanno spesi inutilmente. Non serve costruire nuovi ospedali ma ricostruire la medicina territoriale. Con poliambulatori di prossimità per tutte le malattie oncologiche, metaboliche, cardiorespiratorie, neurodegnerative, cioè quelle più diffuse, che garantiscano prevenzione e diagnosi precoce. L’ospedale deve essere riservato a urgenze, interventi chirurgici complessi e diagnosi sofisticate. È chiaro che ogni poliambulatorio non può avere un costoso macchinario per la risonanza magnetica. Eppure oggi si possono fare molti test innovativi. Possiamo diagnosticare un cancro a chi non ha nessun sintomo ma lo svilupperà dopo 5 anni. Questo tipo di test fecero notizia per il caso di Angelina Jolie, ma poi si è spento il dibattito su questo fronte.

Quali sono le sue proposte?

Dobbiamo riformare la sanità, innanzitutto. I 20 sistemi regionali disomogenei sono intollerabili. Una risonanza magnetica per sospetto carcinoma? Qui in Puglia ti danno appuntamento dopo 7 mesi, in Basilicata dopo 48 ore. Follia. È chiaro che l’80% del budget dei presidenti di regione viene dalla sanità, dunque fanno la guerra a chi propone di tornare a standard nazionali. Ma il sistema è del 1978 e va rivisto, rimodulato, come diceva il mio maestro Umberto Veronesi. Anche con un referendum, per mandare un messaggio alla politica che fa orecchie da mercante perché la sanità è diventata un centro di potere. Non è possibile che i direttori generali siano nominati dai governatori e i primari nominati dai dg, in una catena che rimanda a quella o quell’altra corrente.

E le campagne di prevenzione e controllo? Anche quelle dipendono da dove si abita?

Purtroppo sì. Al Sud ci si ammala di meno ma si muore di più, al Nord ci si ammala di più ma si muore di meno, e tutto dipende dal livello di prevenzione e cure. Invece educazione e sensibilizzazione devono partire dalla scuola e continuare per tutta la vita dei cittadini, su tutto il territorio. Le faccio un esempio. La regione Puglia rimborsa 47 euro per ogni mammografia fatta a donne tra i 50 e i 69 anni. In Veneto, o in Emilia-Romagna, il range è tra i 45 e i 74 anni. Come è giusto, perché la ricerca ha dimostrato che l’età in cui si sviluppa il tumore al seno è più ampia. Possibile che una 49enne di Bari sia meno tutelata di una 45enne di Bologna? Perché?

Ha una soluzione a questo problema?

Intanto dobbiamo allargare le campagne di screening anche alle strutture private. Lo Stato (o finché non riformiamo questo sistema fallato, le regioni) va dalle strutture private e da quelle convenzionate e chiede, ad esempio, quante mammografie o pap test possono garantire settimanalmente. La regione non può e non deve occuparsi di tutto il processo. Deve garantire solo la qualità della prestazione nelle strutture private. In sei mesi si azzerano tutte le liste d’attesa.

La Lilt ha una sua rete territoriale?

Sì, abbiamo 106 associazioni (una per provincia) e 397 ambulatori. Ma essendo l’unico ente pubblico su base associativa in questo settore, ci è vietato farci pubblicità. Ci occupiamo di prevenzione primaria, cioè di stili e abitudini di vita: lotta al tabagismo ed alla cancerogenesi ambientale e professionale, corretta e sana alimentazione, regolare attività fisica. Prevenzione secondaria, cioè diagnosi sempre più precoci. Prevenzione terziaria, ovvero ci prendiamo cura del malato, degli aspetti riabilitativi – fisici, psicologici, sociali ed occupazionali – e dei loro familiari.

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