Non possiamo ricordarci di Tunisi solo quando scorgiamo sulle nostre coste un ritmo crescente di barconi di fortuna con decine di migranti. È ora di mostrarci alleati e partner solidali di un Paese fratello. Un Paese oggi seriamente a rischio instabilità. Il commento di Khalid Chaouki, direttore Indiplomacy.it
Mentre siamo occupati dalle dinamiche politiche domestiche a partire dall’imminente elezione del Capo dello Stato, nella vicina Tunisia è in corso una crisi politica e istituzionale che rischia di far ripiombare il -Paese maghrebino in un caos istituzionale e un serio rischio di instabilità e conseguenti conflitti con evidenti ripercussioni su tutta l’area circostante.
Il Paese, che per primo aveva inaugurato le cosiddette primavere arabe, oggi vive una sospensione preoccupante del Parlamento decisa con decreto dal presidente eletto Kais Saied dallo scorso 26 luglio. Un provvedimento discutibile nella sua legittimità secondo numerosi osservatori interni e internazionali che ha di fatto messo fuori gioco tutto il sistema dei partiti politici tunisini e consegnato nelle mani del presidente Saied le redini del potere. Il presidente tunisino ha giustificato questa decisione radicale appellandosi all’art. 80 della Costituzione tunisina, che consente al presidente di esercitare poteri eccezionali per 30 giorni in caso di “pericolo imminente” per lo Stato e il suo funzionamento.
Certamente l’esperienza dei vari partiti alla guida dei governi che si sono succeduti in Tunisia è stata fallimentare a partire dalla deludente leadership islamista di Ennahda, fino ad arrivare alle formazioni alleate di ispirazione liberale. Un’esperienza caratterizzata dalla lottizzazione dei posti di potere, ingerenze pesanti nel sistema giudiziario fino ad arrivare alle accuse di finanziamento estero nella precedente campagna elettorale come dichiarato dagli oppositori di Ennahda.
L’emergenza della pandemia e le gravi carenze nella gestione governativa della crisi sanitaria certamente hanno consentito al presidente Saied di giustificare il ricorso al congelamento del Parlamento con un primo supporto popolare alla decisione presa. Un provvedimento inizialmente sostenuto da numerosi attori della società civile tunisina e dai cittadini, che manifestando nelle piazze, ha visto nella mossa del presidente un tentativo estremo di salvare il salvabile e riavviare il sistema democratico attraverso un rinnovato dialogo con la vivace e attiva società civile tunisina.
In queste ultime giornate iniziano però a crescere le preoccupazioni sia interne che della comunità internazionale sulle reali intenzioni del presidente Saied. Il motivo di questa preoccupazione riguarda in primis l’eccessivo prolungamento di questa fase di sostanziale autocrazia e il ricorso ad alcuni arresti arbitrari senza rispettare l’iter giudiziario previsto di alcuni leader di Ennahda con accuse pesanti associate al terrorismo e alla minaccia della sicurezza nazionale.
In particolare sta facendo scalpore l’arresto di Noureddine Bhairi, ex ministro della Giustizia e funzionario del partito Ennahda, che ha ricorso allo sciopero della fame e si trova attualmente ricoverato agli arresti presso l’ospedale di Bizerte.
Non abbiamo certamente la pretesa in queste poche righe di fare un bilancio esaustivo dell’esperienza democratica in Tunisia negli ultimi anni, ma certamente in quanto Italia, abbiamo il dovere morale e strategico di non abbandonare un Paese oggi in grande difficoltà e che rischia l’implosione se non addirittura il ritorno al rischio di una deriva violenta pronta a far riattivare le fiamme del terrorismo che non si sono mai veramente spente.
Non possiamo ricordarci di Tunisi solo quando scorgiamo sulle nostre coste un ritmo crescente di barconi di fortuna con decine di migranti. È ora di mostrarci alleati e partner solidali di un Paese fratello. Un Paese oggi seriamente a rischio instabilità.