Libia, Mozambico, Sudan, Madagascar. Mentre l’Europa ha gli occhi puntati sull’Ucraina, la Russia si prende l’Africa un po’ alla volta. Guida all’Opa di Putin (e gli errori occidentali). L’analisi di Leonardo Bellodi
Un nuovo ordine internazionale liberale fondato più sulla governance che sui valori democratici condivisi dall’ Occidente. Sembra questa la filosofia che ispira la politica internazionale –e domestica – di Vladimir Putin.
Siria, Libia, Ucraina, stati del continente africano, per non citarne che alcuni, sono i Paesi dove il modus agendi della Russia è più manifesto. Per non parlare dell’Europa, dove proprio la politica estera ed energetica di Putin è accusata di aver alimentato l’infiammata dei prezzi del gas provocando un aumento quasi senza precedenti dei prezzi delle nostre bollette.
È indubbiamente vero che la Russia si muove in modo non convenzionale e asimmetrico dosando una sofisticata miscela di strumenti: presenza militare di gruppi para statali (quali la famosa brigata Wagner), campagne di disinformazione, diplomazia e mirati interventi finanziari non sempre ortodossi.
Ma è altrettanto vero che la Russia riempie un vuoto, risponde a una incapacità di agire, approfitta di errori della comunità internazionale.
Ritroviamo in tutte le “operazioni” russe le stesse modalità: garantirsi un’influenza determinante, sempre border line rispetto al diritto internazionale, spendendo poco e approfittando delle debolezza delle controparti.
La Russia guarda alla Libia con gli stessi occhi di Nixon che sottolineava spesso che il Paesde deteneva una “unique key strategic position”.
Quando nel 2011 la comunità internazionale è intervenuta in Libia – evitando il veto alle Nazioni Unite di Russia e Cina – Putin ha visto sfumare contratti firmati o in corso di negoziazione per quasi 7 miliardi di dollari che comprendevano costruzione di infrastrutture, vendite di armi e di prodotti agricoli. Questi contratti avrebbero inoltre permesso alla Russia di cementare le relazioni con un paese che considerava essenziale sia come porta verso il Mediterraneo che verso l’ Africa sub-sahariana.
A differenza di altri Stati che sono intervenuti in Libia subito dopo l’inizio della rivoluzione, la Russia ha atteso intervenendo quando la situazione si era deteriorata ulteriormente. l’assenza di una strategia comune dell’ Unione Europea (si pensi delle tensioni, che sembrano adesso composte tra l’ Italia e la Francia), la politica estera Usa del “leading from behind”, l’eccessivo endorsment, per ragioni ideologiche, nei confronti di Haftar di alcuni stati del Golfo hanno permesso alla Russia di intervenire in Russia usando molteplici strumenti.
Una vicinanza a Haftar che però non si è tramutata in dipendenza totale, il dispiego di forze parastatali che hanno consentito il controllo di importanti basi aeree hanno garantito una presenza flessibile. Ma l’intervento militare non è stato il solo strumento utilizzato. Di analoga importanza è stato il ruolo della società parastatale Goznakl che ha stampato banconote per più 14 miliardi di dinari libici utilizzati in Cirenaica.
Dalla Cirenaica, l’influenza russa si è estesa nel Fezzan nel sud della Libia. Una strategia che si lega alla crescente influenza di Putin nel paese africano. Un totale immobilismo dell’Unione Europea, una minore attenzione da parte della Cina nei confronti del continente hanno creato le premesse per la penetrazione russa. Mentre la Cina ha speso decine di miliardi dollari, la Russia ha utilizzato i propri metodi.
Attraverso strumenti di informazione e disinformazione, una mirata presenza militare si è garantita il supporto di élite e governanti in Congo, Gabon, Mozambico, Madagascar, Zimbabwe, Sud-Sudan e Repubblica Centro Africana il cui presidente ha nominato un russo come proprio national security advisor. Così facendo si à garantita l’accesso a materie prime essenziali nonchè a porti nel Mar Rosso che gli consentono di avere una leva nel canale di Suez e nello stretto di Bad-al. Mandad dove transita il 30% del traffico marittimo commerciale mondiale. Ma è nella recente crisi del gas che più si nota come la Russia approfitti degli errori e della incapacità di decisione di altri Stati
Mentre la Russia ammassa truppe la confine con l’ Ucraina, i paesi occidentali si chiedono come far a meno del gas russo e trovare altre strade per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici.
Sono in molti a sostenere che la recente infiammata dei prezzi del gas (oggi costa 60 $ per MBTU che corrisponde a 350$ al barile di petrolio!) sia dovuta al fatto che la Russia esporta meno gas in Europa. Ciò è solo in parte vero. In realtà Gazrprom ha onorato tutti i contratti firmati fino all’ultima molecola. Non ha alimentato il mercato spot ma non aveva nessun obbligo contrattuale di farlo.
Per contro, è stata la politica energetica europea che ha preferito passare da un modello di contratti di lungo termine nei quali il prezzo del gas era legato a quello del barile di petrolio a modalità contrattuali più flessibili che presentano vantaggi quando vi è abbondanza di gas ma che si rivelano penalizzanti in situazioni come quella attuale dove la volontà di abbandonare nuovi investimenti in nome della transizione energetica, l’esaurimento di importanti giacimenti di gas in Olanda e Inghilterra, e la competizione che dobbiamo affrontare gli alti prezzi che i paesi asiatici sono disposti a pagare ci rendono ancora più dipendenti e alla mercè di Putin.