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Prima la Cina. Colby spiega la sfida dell’Indo-Pacifico

Di Elbridge Colby

Russia? No, Cina. Kiev? No, Taiwan. Elbridge Colby, stratega americano di fama, co-autore della Strategia per la difesa nazionale dell’amministrazione Trump, ha un messaggio per la Casa Bianca: la sfida del secolo si gioca nell’Indo-Pacifico. Pubblichiamo la prefazione italiana di “The Strategy of Denial” (Yale University Press) presentato da Formiche.net

Qual è la migliore strategia di Difesa per l’America?

In altre parole, per quali ragioni gli Stati Uniti dovrebbero prepararsi a combattere, e come dovrebbero prepararsi le forze armate americane per combattere queste guerre? Dal momento che queste domande riguardano la vita, la morte e perdite di grandi entità, non è possibile rispondere correttamente senza un senso chiaro degli obiettivi che una simile guerra dovrebbe perseguire. Per molti anni queste domande non sono state percepite come urgenti né sono state affrontate.

Dopo il collasso dell’Unione sovietica, gli Stati Uniti erano talmente più potenti di qualsiasi altro rivale al punto da poter battere qualunque avversario per qualunque tipo di interesse fosse stato conteso. Certo, forse gli Stati Uniti non sarebbero stati in grado di prendere di mira Pechino o Mosca senza soffrire un contraccolpo nucleare, ma non avevano motivo di provarci. Godevano comunque di una supremazia globale senza dover arrivare a tanto. Per qualunque cosa avessero voluto combattere – contro la Russia per la Nato, o contro la Cina per Taiwan, il Mar Cinese Meridionale o il Giappone – non avevano bisogno di fare altro se non mettere in campo le risorse necessarie per prevalere.

Quel mondo non esiste più. Il “momento unipolare” è finito. Soprattutto a causa dell’ascesa della Cina. Si dice che Napoleone abbia affermato che, se la Cina fosse mai ascesa, il mondo avrebbe tremato. La Cina oggi è ascesa, e continua a farlo. E il mondo sta tremando. Per la prima volta dal diciannovesimo secolo, gli Stati Uniti non possono più vantarsi di essere la più grande economia mondiale. Il risultato è che assistiamo al ritorno di quella che viene comunemente definita “competizione fra grandi potenze”. Un eufemismo per una realtà quasi fisica: un oggetto così grande non può che avere il massimo impatto sul sistema in cui deve inserirsi. L’enorme dimensione e complessità della Cina spiegano perché la sua ascesa avrà il massimo impatto. Un conto però è descrivere il fenomeno, un altro è capire come reagire.

Questo libro cerca di spiegare cosa significa questa realtà per la difesa degli Stati Uniti e dei loro interessi vitali. Nasce dalla preoccupazione che gli americani e chi in America si occupa di strategia per la difesa non abbiano ancora una chiave di lettura per rispondere a queste domande con una spiegazione che sia al tempo stesso onnicomprensiva, rigorosa e solida. Ci sono ovviamente opere contemporanee sulla strategia, molte delle quali superbe, ma si occupano per lo più di grande strategia. Poche invece offrono un solo, coerente quadro che spieghi che forma dovrebbe prendere la strategia di difesa della nazione come espressione ultima della sua grande strategia.

L’assenza di questa chiave di lettura è un problema serio. Nell’era unipolare gli americani potevano prendere decisioni sulle questioni strategiche senza temere le conseguenze. La preponderanza del potere americano ha protetto il Paese dalle conseguenze dolorose delle sue decisioni.

Oggi non funziona più così. Oggi il potere è più diffuso, e i luoghi in cui si sta diffondendo – specialmente in Cina – non sono alleati solidi degli Stati Uniti. Dieci anni fa gli Stati Uniti spendevano più in difesa dei diciotto Paesi successivi messi insieme, e molti dei Paesi immediatamente dopo in fila erano alleati stretti. Oggi quel margine si è ristretto; spendono tanto quanto i successivi sette insieme, e la Cina, che nel frattempo è salita al secondo posto, ha aumentato la sua spesa nella Difesa di circa il 10% ogni anno negli ultimi venticinque anni. E mentre la Cina continuerà a crescere, quel margine è destinato a restringersi ulteriormente.

Non è cambiata solo la struttura del potere globale. Negli anni ’90 o 2000 si poteva immaginare che il mondo stesse diventando più pacifico e cooperativo. Stati come la Cina e la Russia sembravano voler accettare ampiamente l’assetto internazionale. Recentemente, però, il mondo è diventato più teso, anzi conteso, in un modo che riflette non solo i cambiamenti strutturali ma anche il riemergere di un atteggiamento più apertamente competitivo. Questo significa che oggi una grande guerra, un tempo considerata un retaggio del passato, sembra decisamente più plausibile, almeno in alcune parti del mondo.

In tutto questo come dovrebbero orientarsi gli Stati Uniti? La verità fondamentale è che oggi ci sono limiti strutturali a quel che gli Stati Uniti possono fare: non sono in grado di fare tutto, e di farlo contemporaneamente. Devono dunque prendere decisioni difficili. E di fronte a decisioni difficili un sistema che aiuti a prenderle – una strategia – è cruciale. Uno Stato può cavarsela senza una strategia consapevole quando la posta in gioco è di minore entità, quando sono altri a decidere il suo destino o quando sta già seguendo un piano strategico esistente.

Tuttavia, presa coscienza dei loro nuovi limiti, gli americani devono ora conciliare le aspirazioni e gli impegni internazionali con la loro abilità e la volontà di perseguirli. Per prendere decisioni intelligenti in queste condizioni, gli americani hanno bisogno di un modo per determinare cosa sia importante e cosa no, quali sono le più urgenti minacce per gli interessi nazionali e come difendere al meglio quegli interessi in modo da contemperare i costi e i rischi che sono in grado di assumersi.

Ma soprattutto, una strategia è un quadro, non è un vero piano. Viene stesa sulla base di una visione coerente del mondo ed offre una logica all’interno della quale si possono prendere decisioni e definire priorità. È, in fondo, una logica facilitante per fare i conti con un mondo complesso che altrimenti sarebbe disorientante. Una strategia, in questo senso, è come qualsiasi buona teoria che cerca di spiegare il mondo – dovrebbe essere il più semplice possibile, ma non andare oltre. Senza una logica di questo tipo, non esiste un modo coerente per discernere cosa è davvero importante e richiede una preparazione speciale da ciò che invece si può gestire, o ignorare. Di fronte alle scarse risorse di cui si dispongono oggi gli Stati Uniti, non avere questa strategia è la ricetta perfetta per la frustrazione o un disastro.

Un quadro strategico è particolarmente necessario in tempi di transizione come quelli attuali, in cui le idee e i piani degli anni passati si dimostrano sempre più scollegati dalla realtà. La generazione del primato della Guerra Fredda ha in effetti scollegato dalla realtà alcuni americani, o almeno alcuni dei loro leader e dei più illustri pensatori, dando loro una percezione molto esagerata di cosa gli Stati Uniti possano o debbano ottenere nello scacchiere internazionale. Da qui sono derivate alcune conseguenze infelici.

Soprattutto, molti dei più importanti esperti di politica estera in America sono ancora convinti di questa inebriante teoria, quasi sperassero che la nazione riesca a ritornare da sola a un mondo unipolare, nonostante molti americani abbiano capito che le cose sono cambiate profondamente. Allo stesso tempo c’è una forte resistenza, specialmente nell’accademia, nel riconoscere che gli Stati Uniti dovrebbero fare un passo indietro e adottare una politica estera molto meno impegnativa di quella perseguita sin dalla Seconda guerra mondiale.

La copertina del libro

 

Nel mio libro cercherò di descrivere come gli americani possano fare i conti con questa nuova realtà e possano perseguire e proteggere i loro interessi vitali all’estero con rischi e costi che sono realisticamente in grado di sopportare. Sono particolarmente preoccupato di come possano prepararsi ad andare in guerra per gli interessi fondamentali e possano farlo in un modo sensato. Questo è un libro di strategia di difesa; affonda le sue radici nella grande strategia, ma si focalizza sugli affari militari.

La guerra non è solo una delle tante sfaccettature dell’attività umana; spiego piuttosto che gli affari militari sono per certi aspetti determinanti. Ma non sono onnicomprensivi, e se una strategia di difesa viene attuata nel modo giusto, possono essere resi marginali. Il successo della strategia contenuta nel libro risiede precisamente in questo risultato: una situazione in cui la minaccia di una guerra non è considerata rilevante. Ma raggiungere questo obiettivo, paradossalmente, richiede un focus chiaro e rigoroso sulla guerra stessa.

Qui i lettori non troveranno alcuna discussione su come competere economicamente con la Cina, come la maggior parte delle istituzioni internazionali dovrebbero evolversi, o su qualsiasi altro problema di politica internazionale. Non perché non siano temi importanti – lo sono – ma perché se gli americani non hanno la giusta strategia per la difesa, queste altre considerazioni e interessi saranno costrette a finire in secondo piano. Trovare questa strategia è l’obiettivo di questo libro.

Nonostante questo sia un libro sulla guerra – perché accade, per quali motivi dovrebbe essere combattuta, e come dovrebbe essere condotta – è pensato per promuovere la pace, e in particolare una pace accettabile. Ma una pace accettabile compatibile con la libertà, la sicurezza e la prosperità degli americani non nasce spontaneamente. È una conquista. Questo libro è pensato per mostrare come gli americani possano ottenere questa pace con costi e rischi che sono in grado di sostenere in un’era in cui una pace accettabile non si può più dare per scontata.

 

Traduzione della prefazione dell’ultimo libro di Elbridge Colby “The Strategy of Denial” (Yale University Press)

 

GUARDA QUI LA PRESENTAZIONE DI “THE STRATEGY OF DENIAL” SU FORMICHE.NET CON MARTA DASSÙ



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