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Perché la Cina fa più paura dell’Urss. Le parole del capo dell’Fbi

Come i sovietici, i comunisti a Pechino rifiutano le libertà fondamentali. Ma c’è una differenza: la connessione tra le economie. Il discorso alla Ronald Reagan Presidential Library

La principale minaccia per gli Stati Uniti nei campi della sicurezza economica e dell’innovazione è la Cina. Parola di Christopher Wray, direttore dell’Fbi, che ha tenuto nei giorni scorsi un discorso alla Ronald Reagan Presidential Library, in California. Una minaccia che costa all’Fbi – la stessa agenzia che ha lanciato un avvertimento sulla sicurezza degli atleti a Pechino 2022 – l’apertura di due indagini di controspionaggio in media al giorno.

“Valutando tutto quel che emerge dalle nostre indagini, oltre 2.000 delle quali si concentrano sui tentativi del governo cinese di trafugare le nostre informazioni e la nostra tecnologia, possiamo constatare che non esiste Paese che ponga una minaccia più vasta della Cina alle nostre idee, all’innovazione e alla sicurezza economica”, ha detto.

Il governo cinese ha ripetutamente negato di rubare i segreti commerciali degli Stati Uniti. Ma l’Fbi ha accusato l’intelligence di Pechino di prendere di mira una vasta gamma di innovazioni statunitensi, dai vaccini ai semiconduttori, dalle centrali nucleari alle turbine eoliche, fino agli smartphone. “Il governo cinese non è il primo con ambizioni autoritarie” ma potrebbe essere “il primo” a “combinare ambizioni autoritarie con capacità tecniche all’avanguardia. È come l’incubo di sorveglianza della Germania dell’Est combinato con la tecnologia della Silicon Valley”.

Già dalle primissime parole il discorso di Wray (qui la trascrizione sul sito dell’Fbi) è stato piuttosto chiaro: “Devo dire che sono onorato di essere qui con voi alla Ronald Reagan Presidential Library. Gli anni dell’amministrazione del presidente [Ronald] Reagan sono stati importanti, definiti, in gran parte, dalla nostra lotta contro l’Unione Sovietica, il suo impero, dove le libertà che ci sono care sono state soffocate”.

E poche frasi dopo l’affondo: “Oggi, noi negli Stati Uniti e nel mondo occidentale ci troviamo in una lotta molto diversa contro un altro avversario globale: il Partito comunista cinese”. Ci sono “alcune somiglianze” tra la minaccia posta dal governo cinese e la minaccia dell’Unione Sovietica: come la seconda, anche il primo “rifiuta le libertà fondamentali, i diritti umani fondamentali e le norme democratiche che apprezziamo come americani”, ha detto. Ma l’Unione Sovietica, ha proseguito, “non produceva nulla di ciò che gli americani volevano comprare. Non abbiamo investito nelle reciproche economie o mandato un gran numero di studenti a studiare nelle rispettive università. Gli Stati Uniti e la Cina di oggi sono molto più interconnessi di quanto lo siano mai stati gli Stati Uniti e la vecchia Unione Sovietica, e la Cina è una potenza economica a un livello che i sovietici non avrebbero mai potuto sognare di essere”.

Wray ha sottolineato che la causa dei problemi sono i leader della Cina, non i cittadini: “non il popolo cinese, e certamente non i cinesi americani, che sono essi stessi spesso vittime dell’aggressione illegale del governo cinese”, ha detto. Non l’ha nominata esplicitamente, il suo riferimento alla China Initiative dell’era Trump è stato chiaro a tutti. Il dipartimento di Giustizia sta rivalutando quel progetto, lanciato nel 2018 per contrastare lo spionaggio economico cinese nelle università e negli istituti di ricerca, dopo alcuni fallimenti legali, diverse accuse di maccartismo e molti timori che quella “caccia alle streghe” non faccia che frenare l’innovazione.

A dicembre Charles Lieber, professore della prestigiosa Università di Harvard, ritenuto un pioniere delle nanoscienze e delle nanotecnologie è stato condannato per aver nascosto la sua partecipazione a un programma di reclutamento talenti del governo cinese. Ma poche settimane prime la procura aveva lasciato cadere il caso contro Gang Chen, professore di ingegneria meccanica al Massachusetts Institute of Technology, Gang Chen, dopo aver determinato che questi non aveva alcun obbligo di dichiarare le sue affiliazioni “cinesi” quando presentava richieste di sovvenzioni.

L’Fbi, pur ammettendo alcuni passi falsi, ha sempre difeso il progetto. “Non facciamo indagini in base alla razza o all’etnia”, ha dichiarato Wray in un’intervista NBC News. “In molti casi, i cinesi americani sono alcune delle persone vittime delle tattiche del governo cinese che stiamo descrivendo”, ha aggiunto.

Prossimamente il dipartimento di Giustizia si pronuncerà sula China Initiative. Potrebbe decidere di chiudere il progetto o di ridisegnarlo. E forse il discorso di Wray era pensato per lanciare un doppio avvenimento sulla Cina: uno ai cittadini americani sulla minaccia, uno al dipartimento sui mezzi per contrastarla.

(Foto: Ronald Reagan Presidential Library)

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