I russi e i bielorussi sanno che gli ucraini hanno assaporato la libertà e che il loro esempio può estendersi alla dissidenza nella Federazione Russa e in Bielorussia. Vogliono assaporare anche loro quel calice della libertà per il quale gli ucraini sono pronti a dare la vita. Putin e Lukashenko lo sanno e tremano
Oggi al confine tra Ucraina e Bielorussia si tengono i negoziati tra la piccola Ucraina e la grande Federazione Russia. Mediatore il rotondetto Presidente bielorusso Alexander Lukashenko per il quale l’orologio si è fermato prima della caduta del muro Berlino e che è noto soprattutto per fare dirottare arei di linea che sorvolano il territorio di una Repubblica (che considera sua propria proprietà personale) allo scopo di arrestare dissidenti residenti all’estero.
In tono da film melodrammatico, Lukashenko ha esclamato: “In una situazione come questa dovremmo essere consapevoli che ci sono tali sanzioni. Si parla tanto di settore bancario, gas, petrolio, Swift. È peggio della guerra. La Russia viene spinta verso una terza guerra mondiale, una terza guerra mondiale, una guerra nucleare, ovvero la fine di tutto”. Parole che dovrebbero fare tremare ma che mostrano tutta la fragilità di Lukashenko, anche all’interno della Bielorussia. Pure la notizia, fatta spifferare ad arte dal Cremlino, dell’ordine dato da Vladimir Putin alle forze armate della Federazione Russa di mettere in stato di massima allerta le forze di deterrenza nucleare dovrebbe fare tremare. Ma è, ancora una volta, un segno di debolezza.
La delegazione ucraina si incontra con la delegazione russa senza precondizioni al confine ucraino-bielorusso, vicino al fiume Pripyat, non nella città di Gomel come inizialmente proposto da Lukashenko, il quale si è assunto la responsabilità del fatto che al momento della partenza per le trattative e del ritorno della delegazione ucraina, rimarranno a terra tutti gli aerei, elicotteri e missili posti sul territorio bielorusso. Speriamo che non sia una trappola per fare arrestare (o peggio) il legittimo Presidente dell’Ucraina.
Difficile, anzi impossibile, fare previsioni sugli eventuali risultati dei colloqui. Meno arduo sottolineare che le modalità del negoziato rappresentano una sconfitta per Putin ed il suo vassallo Lukashenko. Non sono tanto le sanzioni a fare paura perché potranno isolare Federazione Russa (e tra breve anche la Bielorussia di Lukashenko) dal commercio e dalla finanza mondiale provocando il tracollo economico (e gravi tensioni social) nelle due dittature. Ma perché i quattro giorni di aggressione all’Ucraina hanno dimostrato (anche a Putin ed a Lukashenko) che il virus della libertà è difficile da sconfiggere.
Il delirante discorso di Putin al popolo russo e la farneticante prolusione agli industriali ed ai banchieri della Federazione in cui annunciava l’”operazione militare speciale” contro il “Governo di drogati e nazisti” a Kiev hanno mostrato, in primo luogo ai russi, che “l’uomo al comando” da 22 anni è un settantenne ex- giocatore di judo ed ex-agente segreto il cui volto traspira di cortisone. Un uomo malato che avrebbe potuto riacquistare lustro presso i suoi concittadini unicamente con “un’operazione lampo”, conquista di Kiev entro un giorno, morte del suo avversario e sostituzione con un vassallo. E cercare di essere ricordato come lo Zar del ventunesimo secolo. Ora corre il rischio personale che prima di raccogliere allori, venga eliminato da qualche congiura di Palazzo, come avvenuto a numerosi suoi predecessori od aspiranti tali. La Grande Madre Russia ne ha tutta una storia.
I russi ed i bielorussi, infatti, si chiedono come mai gli ucraini con pochi militari e peggio armati si difendono, pur incorrendo in perdite molto gravi, da quattro giorni e perché è ormai certo che anche in caso di vittoria russa continuerà una lunga guerriglia. I russi ed i bielorussi sanno che gli ucraini hanno assaporato la libertà e che il loro esempio può estendersi alla dissidenza nella Federazione Russa e in Bielorussia. Vogliono assaporare anche loro quel calice della libertà per il quale gli ucraini sono pronti a dare la vita. In sempre più numerosi, si domandano se non siamo menti malate quelle che hanno fatto diventare i loro Paesi i pariah della comunità internazionale.
Putin e Lukashenko lo sanno e tremano.