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Tra debito italiano, Pvs e Cina manca un nuovo Rapporto Craxi

Il documento redatto dall’ex presidente del Consiglio italiano nella veste di Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per affrontare il problema del debito, approvato all’unanimità dall’Onu nel 1990, si potrebbe proporre oggi? L’Italia ha la stessa visione e autorevolezza di allora?

Il debito della Pubblica amministrazione italiana non va trattato in isolamento o unicamente (oppure principalmente) come parte del forte indebitamento che contraddistingue sei dei diciannove Stati dell’unione monetaria europea. È parte di un quadro più vasto in cui ci si sta arrovellando a Washington in quel palazzo all’angolo tra la 19sima strada e Pennsylvania Avenue dove ha sede il Fondo monetario internazionale (Fmi).

I prossimi dodici mesi saranno cruciali per il Fmi. In tutto il mondo, lo stock di debito delle pubbliche amministrazioni sta crescendo rapidamente. L’aumento dei tassi di interesse potrebbe spingere a crisi di liquidità o anche d’insolvenza un certo numero di grandi mercati emergenti. I debiti di oltre la metà dei Paesi in via di sviluppo (Pvs) potrebbero diventare ben presto insostenibili. Il Fmi ha gravi vincoli nell’affrontare tali problemi. L’aumento del debito dei Paesi in via di sviluppo (Pvs) nei confronti della Cina complica gli sforzi per porre i Pvs su basi finanziarie più solide. I Paesi indebitati temono di inimicarsi il creditore (la Cina) e i leader cinesi sono divisi su quanto essere indulgenti con i debitori sovraesposti. Le difficoltà causate dalla pandemia implicano che le riforme che il Fmi potrebbe normalmente raccomandare – tagli ai sussidi energetici o revisioni dei sistemi pensionistici, per esempio – sono una pillola difficile da ingoiare per i governi. I Paesi ad alto reddito medio potrebbero aumentare i finanziamenti ai Paesi poveri e consentire alla Cina di avere più voce in capitolo all’interno del Fmi. Ma nell’attuale quadro geopolitico ciò è molto poco probabile.

Vale la pena soffermarsi sul debito nei confronti della Cina. La Via della Seta, accolta con grande favore dall’Italia del 2019 (governo giallorosso), si sta rivelando sempre più una trappola infernale per molti Paesi. Per fortuna che dopo la firma di un Memorandum of Understanding (MoU) tra Roma e Pechino del 23 marzo 2019, tante celebrazioni non hanno avuto consistenti seguiti operativi.

Molti Pvs sono caduti nella botola offerta loro da Pechino che ha dato non sovvenzioni ma prestiti a condizioni di mercato (e di solito con interessi variabili) principalmente per costruire infrastrutture realizzate da imprese cinesi (senza gare concorrenziali), lasciando ai Pvs beneficiari un debito elevatissimo; ad esempio, la Cina sta finanziando una linea ferroviaria ad alta velocità in Laos il cui costo (ed indebitamento) è pari alla metà del Pil del Paese.

L’Fmi, la Cina e altre parti interessate dovrebbero cooperare per aiutare i Paesi lungo la Via della Seta che affrontano squilibri finanziari e debito elevato. Non sarà facile. Prima di fornire aiuti, l’Fmi richiederà trasparenza sui termini dei prestiti contratti con la Cina, i cui termini sono notoriamente opachi. La Cina ha resistito al coinvolgimento internazionale nella Via della Seta. Per conciliare queste prospettive contrastanti, il Fmi e la Cina dovrebbero espandere i canali di comunicazione e avviare riforme pilota che affrontino i problemi di entrambe le parti. Se queste condizioni sono soddisfatte, gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare l’assistenza del Fmi ai Pvs sulla Via della Seta  per proteggere la sovranità e promuovere standard di prestito migliori.

Il segnale interessante è che la Cina sta ora riconoscendo pubblicamente la necessità di riformare i termini dei prestiti fatti per la Via della Seta al fine di affrontare le preoccupazioni internazionali e nazionali. Sulla scia della decisione della Malesia di cancellare due grandi progetti finanziati dalla Cina, Pechino ha lanciato un blitz pubblicitario per difendere la Via della Seta. Il vicepresidente della Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme Ning Jizhe ha affermato che la Cina dovrebbe essere “obiettiva e razionale” quando affronta le preoccupazioni sul debito e lavora per facilitare la cooperazione internazionale. Un modello di riforme serie appetibile a Pechino può essere trovato all’interno di una delle iniziative più importanti della Cina, l’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib). La banca di sviluppo guidata da Pechino è stata lanciata nel 2015 e, nonostante un certo scetticismo iniziale, le procedure operative dell’organizzazione seguono gli standard internazionali. La maggior parte dei suoi progetti sono cofinanziati con istituzioni sostenute dall’Occidente e hanno una documentazione chiara. L’Aiin ha annunciato un memorandum d’intesa con la Banca Mondiale per approfondire la cooperazione, un quadro che la Cina può applicare alle discussioni con l’Fmi sulla riduzione del debito.

In effetti, il quadro è molto complicato. Sarebbe necessario un nuovo Rapporto Craxi, il documento redatto dall’ex presidente del Consiglio italiano nella veste di Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per affrontare il problema del debito, documento approvato all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1990, a cui collaborarono grandi esperti italiani (tra cui anche Mario Draghi) e stranieri. Il Rapporto (che oggi pare volutamente ignorato) tracciò le basi per affrontare e risolvere i nodi del debito tra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo.

Può l’Italia proporre e mettere ora in campo un’iniziativa analoga? Abbiamo la visione, l’autorevolezza e gli esperti di allora?


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