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Rapide e dolorose, le transizioni demografiche post-industriali

Di Andrea Zanini

La mancanza di un dibattito pubblico e politico sulla sterilità del nostro Paese stupisce, specialmente se pensiamo che nel 2021 il tasso di natalità è stato il più basso di sempre con 1,17 figli per donna. Le ultime previsioni sul nostro futuro demografico restituiscono più di altri Paesi un quadro di crisi molto grave. Numeri e analisi di Andrea Zanini

Mentre le agende sono scandite da importanti appuntamenti di politica interna e crisi di politica estera, navigando nella rete si trovano dei piccoli numeri che probabilmente sul medio periodo avranno effetti più rilevanti rispetto alle notizie da prima pagina.

Il numero in questione è 7,52 bambini nati ogni 1.000 persone. Si tratta del tasso delle nascite del 2021 reso noto dal National Bureau of Statistics of China il 17 gennaio in una press release il cui focus è altro: National Economy Continued to Recover with Expected Development Targets Well Achieved in 2021.  Il dato segna il minimo storico di una tendenza al ribasso demografico che aveva già spinto le autorità cinesi a cancellare nel 2016 la vecchia politica del figlio unico, sostituendola con un limite di due figli. Ma l’alto costo della vita nelle città – dove si gioca lo sviluppo economico del gigante asiatico – ha scoraggiato la natalità, con la conseguenza che nell’agosto dello scorso anno il Parlamento cinese ha dato il via libera alla politica dei tre figli. Ma per ora non è bastato. Nel 2021 ci sono state in Cina 10,62 milioni di nascite rispetto ai 12 milioni nel 2020, una perdita secca del 10%. Huang Wenzheng, un esperto di demografia del Centro per la Cina e la globalizzazione di Beijing, ha dichiarato che è probabile che il numero di nascite oscillerà nell’intervallo di 10 milioni prima di diminuire ulteriormente in assenza di cambiamenti politici. L’esperto ha aggiunto che sono allo studio nuove misure che potrebbero prevedere un nesso tra la carriera e il numero dei figli, oppure incentivi economici pagati direttamente dalle società datrici di lavoro. Vedremo. Ma la questione non è affatto semplice.

La transizione demografica al ribasso non è, infatti, un grattacapo solo per la dirigenza cinese, preoccupata di dover prendersi cura di un Paese sempre più anziano e indebolito nelle sue capacità militari; si tratta di un fenomeno globale che avrà delle ripercussioni importanti sugli stili di vita e l’organizzazione della società in tutto il mondo. Del resto l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo e i delicati equilibri della Terra erano stati al centro del successo di The Limits to Growth, il report commissionato al Mit di Boston dal Club di Roma tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. Il report segnò un punto di svolta nella critica di un modello di sviluppo che si fondava sul superamento dei limiti naturali, sull’infinita produzione di beni materiali e su un cieco ottimismo per le potenzialità della tecnologia.

Negli ultimi 50 anni, la presa di coscienza dei rischi che corre il pianeta e la necessità di un modello di sviluppo alternativo hanno confermato la lungimiranza del pensiero del Club di Roma. Questo vale anche per i profondi mutamenti nei trend demografici che hanno sconfessato la teoria classica della transizione demografica che presumeva che la fertilità sarebbe diminuita da livelli elevati dell’epoca preindustriale stabilizzandosi al livello di sostituzione di circa 2,1 figli per donna (il tasso di fertilità che dovrebbe garantire la stabilità demografica).

Oggi quasi la metà della popolazione mondiale vive in un paese con un tasso di fertilità totale (Tfr) inferiore a 2,1 figli per donna. Allo stesso tempo, in molti paesi dell’Asia orientale, dell’Europa meridionale e di parti dell’Europa centrale, orientale e sudorientale, la fertilità è ancora più bassa, con un Tfr tra 1,0 e 1,4 mentre la dimensione familiare viene realizzata con un tasso che oscilla tra 1,4 e 1,6 nascite per donna, nonostante l’intenzione di formare una famiglia venga ancora indicata dalle coppie con un obiettivo di oltre 2 figli. In questo quadro anche l’Africa subsahariana si volge a un declino verso la bassa fertilità. Il risultato è che entro il 2050 si prevede che oltre i due terzi della popolazione mondiale vivranno in un paese con una fertilità inferiore a un Tfr di 2,1 figli per donna[1].

Uno studio molto recente ha inoltre rafforzato l’ipotesi che sul declino della fertilità influiscano non solo fattori economico-sociali, come avvenuto con il primo grande calo demografico innescato dalla rivoluzione industriale, ma che siano altresì importanti gli influssi politico-culturali. Ad esempio, la Francia rivoluzionaria avrebbe ispirato in altre regioni d’Europa una nuova cultura del controllo della fertilità (la moda per un minor numero di nascite era probabilmente radicata sia nei cambiamenti di prospettiva associati al secolarismo e all’Illuminismo sia nella diffusione di informazioni sulla pianificazione familiare)[2].

In un’epoca molto vicina a noi, un terzo e più rapido declino della fertilità è avvenuto con il crollo del sistema socialista e la transizione verso un’economia di mercato nell’Europa centrale e orientale. In questi paesi, dopo il 1989, questa transizione è stata associata a marcate flessioni economiche, a un’alta inflazione, a un rapido aumento della disoccupazione (in particolare tra le donne), alla perdita del diritto al lavoro e al reddito precedentemente garantiti, tutti cambiamenti che hanno reso la gravidanza meno accessibile per gran parte della popolazione [3].

I cali demografici nelle società post-industriali avrebbero altre due caratteristiche particolarmente inquietanti: un altro studio ha osservato che le transizioni demografiche nel tempo e nello spazio, stanno diventando sempre più veloci e contagiose: un importante fattore predittivo della transizione di un paese è infatti la transizione precedente di altri paesi che gli sono “vicini” geograficamente o culturalmente [4].

La bassa fertilità e il calo demografico ad un livello molto basso sono giustamente visti dalla maggior parte dei governi come fonte di preoccupazione, in particolare per la pressione sul mercato del lavoro, sui sistemi sanitari e di sicurezza sociale; altre preoccupazioni riguardano il potere militare e l’orgoglio nazionale [5].

Nel 2015 due terzi dei governi dei paesi più sviluppati consideravano la fertilità troppo bassa e stavano perseguendo politiche per aumentarla [6]. Nel 2015, i governi di 55 paesi e territori presi in esame dal World Population Policies Database dell’ONU hanno riferito che mirano ad aumentare la fertilità, di questi, 27 paesi sono europei. Al momento, tutti i paesi altamente sviluppati, ad eccezione di Israele, hanno tassi di fertilità bassi, quindi la differenza è tra fertilità molto bassa e fertilità moderatamente bassa. Le donne nell’Europa occidentale e settentrionale, in Australia, Nuova Zelanda e negli Stati Uniti hanno mantenuto una fertilità per il completamento della famiglia più elevata a circa 2 nascite per donna.

Alcuni paesi sono appena intorno o leggermente al di sopra della soglia di 1,6 (ad es. Cina, Repubblica di Corea, Austria e Ungheria). Al contrario, i paesi dell’Europa meridionale (Grecia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna), parti dell’Europa centrale e orientale (Romania, Bielorussia, Federazione Russa, Ucraina), Germania, Giappone e Singapore sono al di sotto della soglia [7]. Tra i principali motivi della bassa fertilità vi è l’incompatibilità tra carriera professionale e vita familiare, in stretta connessione con le persistenti disuguaglianze di genere nella divisione del lavoro domestico: per decenni, le società tradizionaliste sul ruolo di genere hanno patito una fertilità molto bassa. Fattori più recenti che contribuiscono al declino della fertilità includono la tendenza verso la genitorialità intensiva, nonché l’incertezza e l’instabilità del mercato del lavoro insieme all’aumento dei prezzi delle case.

In Italia e nel resto dell’Europa meridionale sarebbe importante affrontare i vincoli strutturali nel mercato immobiliare con maggiori investimenti nell’edilizia sociale e una maggiore regolamentazione dei mercati degli affitti e del credito per facilitare l’accesso ai mutui tra i giovani. Ad esempio, in Italia lo sviluppo di società che monitorano il rating creditizio delle persone potrebbe rivelarsi utile poiché la riluttanza delle banche a prestare denaro è spesso legata alla loro mancanza di informazioni chiave sui richiedenti un mutuo.

Inoltre nel nostro Paese persiste una forte barriera culturale. La “madre che lavora” è ancora vista negativamente, con tre quarti degli italiani che riferiscono di ritenere che un bambino in età prescolare soffra in una certa misura se sua madre lavora, secondo i dati dell’European Social Survey, 2008. Tali atteggiamenti disuguali di genere sono rafforzati da fattori strutturali, con la giornata scolastica in genere molto più breve del normale orario di lavoro [8].

Il rapido cambiamento demografico globale porterà notevoli squilibri economico – finanziari. La quota media della popolazione al di sopra dei 50 anni di età è aumentata dal 15% al ​​25% dagli anni ’50 ad oggi e si prevede che aumenterà ulteriormente fino al 40% entro la fine del XXI secolo. È opinione diffusa tra gli economisti che questo processo di invecchiamento sia stato un importante motore per le tendenze macroeconomiche chiave fino ad oggi: una popolazione che invecchia risparmia di più, il che spiegherebbe perché i rapporti ricchezza/PIL sono aumentati e i tassi medi di rendimento sono diminuiti; si tratta di un meccanismo che si sviluppa in modo eterogeneo tra paesi, spiegando così l’aumento degli squilibri globali.

Gli economisti sono invece divisi sulle grandezze e le previsioni per il futuro: alcuni modelli strutturali prevedono tassi di interesse in calo in futuro; allo stesso tempo, un’ipotesi influente sostiene, sulla base dello scarso risparmio degli anziani, che l’invecchiamento spingerà alla fine i tassi di risparmio al ribasso e i tassi di interesse al rialzo. Si tratta di un’argomentazione popolare negli anni ’90 come ipotesi di “crollo del mercato degli asset” che è stata recentemente ripresa sotto il nome di “grande inversione demografica”[9].

Per il capo economista della Bce Philip Lane “l’attuale fase di invecchiamento della popolazione sta contribuendo al calo tendenziale del tasso di interesse reale…mentre un’ampia parte di popolazione che sta risparmiando per la pensione esercita pressioni al rialzo sul tasso di risparmio totale, un’altra quota di anziani può spingere verso il basso il risparmio aggregato diminuendo la ricchezza accumulata”.

Il co-movimento non è casuale, l’invecchiamento della popolazione può infatti spiegare la diminuzione dei tassi di interesse reali, il “prezzo” che mette in equilibrio domanda e offerta di risparmio, per due ragioni principali: da un lato, l’allungamento dell’aspettativa di vita spinge le famiglie a risparmiare di più per sostenere il consumo per un periodo più esteso; dall’altro, la crescente scarsità della forza lavoro induce le imprese a domandare meno risparmi per l’accumulazione di capitale produttivo.

Sfruttando dati e proiezioni demografiche in un modello teorico che cattura effetti comportamentali in base all’età, in un recente studio è stato quantificato che l’invecchiamento della popolazione possa spiegare una diminuzione permanente del tasso di interesse reale coerente con la piena occupazione nell’area dell’euro di circa un punto percentuale rispetto agli anni Ottanta [10].

Con una politica monetaria impegnata a mantenere l’inflazione a livello basso, la dinamica potrebbe significare che i tassi di interesse reali effettivi non riescono a scendere in misura sufficiente a stimolare gli investimenti e a ristabilire la piena occupazione. Sarebbe quindi utile comprendere quali elementi potrebbero mitigare l’impatto negativo dell’invecchiamento della popolazione sul tasso di interesse reale di equilibrio.

Da un punto di vista teorico, si tratta di qualsiasi cambiamento che possa ridurre la scarsità relativa del fattore lavoro rispetto al capitale. Tra le politiche che più influenzano l’offerta di risparmio rientrano quelle collegate ai sistemi pensionistici. Qualora mantenessero la stessa generosità odierna con una quota crescente di pensionati, vi sarebbero trasferimenti intergenerazionali che tenderebbero a “spiazzare” il risparmio privato. Alcuni economisti si spingono fino a speculare che il crescente ruolo di trasferimenti di questo tipo potrebbe essere tra le principali cause di una “grande inversione” verso il rialzo dei tassi di interesse reali nei prossimi anni.

La mancanza di un dibattito pubblico e politico sulla sterilità del nostro Paese stupisce, specialmente se pensiamo che nel 2021 il tasso di natalità è stato il più basso di sempre con 1,17 figli per donna. E infatti le ultime previsioni sul nostro futuro demografico restituiscono come e più di altri Paesi un quadro di crisi molto grave. La popolazione residente passerà da 59,6 milioni al 1° gennaio 2020 a 58 mln nel 2030, a 54,1 mln nel 2050 e a 47,6 mln nel 2070.  Il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3 nel 2050 mentre la popolazione in età lavorativa scenderà in 30 anni dal 63,8% al 53,3% del totale [11]. Si tratta di numeri da incubo se pensiamo al nostro debito pubblico, al costo dei nostri sistemi previdenziali, sanitari e all’età alla quale oggi le coppie decidono di fare dei figli.

[1] Low fertility: a review of the determinants – United Nations Population Fund, 2019

[2] Fertility and modernity, Enrico Spolaore and Romain Wacziarg – The Economic Journal, 2021

[3] Fertility in Central and Eastern Europe after 1989: collapse and gradual recovery – Sobotka, T. (2011)

[4] Demographic Transitions Across Time and Space – M. J. Delventhal, Jesùs Fernàndez-Villaverde, Nezih Guner, 2021

[5] Low Fertility Institutions, and their Policies: Variations Across Industrialized Countries – Rindfuss and Choe, Springer, 2016

[6] United Nations Population Fund, 2018

[7] United Nations Population Fund, 2018

[8] Aging Italy: Low Fertility and Societal Rigidities – Tanturri, M. (2016)

[9] Demographics, Wealth, and Global Imbalances in the Twenty-First CenturyAdrien Auclert, Hannes Malmberg, Frédéric Martenet, Matthew Rognlie, Becker Friedman Institute, 2021

[10] Così l’invecchiamento abbassa i tassi di interesse – Andrea Papetti, la voce.info, 2021

[11] Report previsioni demografiche – Istat, 11/2021

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