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Il fattore religioso nella lotta russo-ucraina. L’analisi del prof. De Oto

Di Antonello De Oto

Per vincere Putin è disposto a rischiare tutto. Quella con l’Ucraina non rappresenta solo una vittoria militare e politica ma anche la definitiva sistemazione di un problema religioso ed identitario. Il commento dell’avvocato Antonello De Oto, docente di Diritto Ecclesiastico italiano e comparato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Kiev assediata e accerchiata. Bombardata a ritmo continuo con missili e aerei. Sebbene militarmente inferiore l’Ucraina resiste. Perché la libertà è un bene preziosissimo. E la libertà religiosa ne è una grande parte. Perché meglio morire combattendo che perire lentamente ogni giorno sotto il giogo dell’occupante. Le donne ucraine cantano nei corridoi sotterranei della Metro “Šče ne vmerla Ukraïny” l’inno nazionale che dice testualmente: “L’Ucraina non è ancora morta, né la sua gloria né la sua libertà”.

E forse tutto questo lo zar Putin non lo aveva previsto. Perlomeno non in questi termini. Ma avrebbe dovuto, perché in questo conflitto, figlio di un’aggressione militare in piena violazione del diritto internazionale vigente -che pone indietro l’orologio della storia al 1 settembre 1939 – a complicare ancor di più la situazione c’è il fattore identitario di cui l’elemento religioso risulta essere la parte più antica e corposa.
La Russia, già dai tempi di Alessandro I, aveva iniziato i tentativi di unire la chiesa greco-cattolica all’Ortodossia ma solo con lo Zar Nicola I vi è una svolta nella politica ecclesiastica. Come scrive Giovanni Codevilla nel suo “La Russia Imperiale” (Jaca Book) “…il 22 dicembre 1827 il secondo Dipartimento del Collegio ecclesiastico delibera di liquidare una parte dei monasteri uniati…”.

La chiesa ortodossa russa invece assume lo stato di autocefalia nel 1448 e nel 1589 diviene Patriarcato, con l’influenza su tutta l’area, compresa l’Ucraina i cui vescovi tra Mosca e Roma, in maniera consistente, scelgono la seconda: sono le chiese di rito orientale in comunione con la chiesa cattolica, i c.d. uniati oggi a sostegno del nazionalismo ucraino. Un puzzle religioso di confine che sviluppa da sempre conflittualità. Un doppio confine in buona sostanza: politico e religioso.

La dichiarazione firmata a Cuba nel 2016 da papa Francesco e dal patriarca di mosca, Kirill si occupa della tensione fra le Chiese ortodosse e quelle cattoliche e la posizione di ciascuna nei confronti della Russia e dello scontro in atto da molto tempo. L’invito a «imparare a vivere assieme», ad «astenersi dal partecipare allo scontro» civile e militare e a superare lo scisma fra gli ortodossi «sulla base delle norme canoniche esistenti», è stata allora percepita come una sorta di collateralismo con le tesi della Chiesa ortodossa russa e degli interessi di quella nazione. La reazione nelle Chiese cattoliche nei paesi ortodossi fu molto critica e l’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini, mons. Sviatoslav Shevchuk all’epoca gridò al tradimento di Roma a cui il papa rispose dopo poco direttamente nel viaggio di ritorno dal Messico distinguendo il piano dogmatico da quello ecclesiale. L’incontro fra papa Francesco e i vescovi ucraini ha in seguito molto smussato le divergenze evidenziando le gravi tensioni affrontate da Kirill per aver accettato all’epoca l’incontro con Papa Francesco.

Fatiche della pace. Fatiche della storia che vede rapporti complicatissimi tra le Chiese sulle rive del Dniepr, difficoltà che riemergono costantemente con giudizi divergenti sulla storia anche recente, come lo pseudo-sinodo di Leopoli (8-10 marzo 1946) in cui si decise la forzata riunificazione della Chiesa greco-cattolica ucraina all’ortodossia russa.

Gli storici non nutrono dubbio alcuno sul fatto che il sinodo di Lviv abbia rappresentato una messa in scena facendo della Chiesa greco-cattolica la principale vittima, ma al tempo stesso una vitale forza di opposizione nel mondo sovietico. E arriviamo ad oggi. Per vincere Putin è disposto a rischiare tutto. Lo “scalpo” ucraino non rappresenta solo una vittoria militare e politica ma anche la definitiva sistemazione di un problema religioso ed identitario.
Perciò nell’attacco militare a Kiev, la Russia odierna utilizza per la prima volta nuovi orribili tecnologie militari come ad esempio “Terminator Tank”. L’assedio ai centri urbani, per piegare il governo attuale, è l’obiettivo dei carri armati “hi tech” in dotazione alle truppe assieme alle armi termobariche atte a determinare una dirompente onda di pressione che distrugge gli organi interni di chi è nelle vicinanze.

Ma tutta questa nuova tecnologia è questa voglia di vincere ad ogni costo sembra scontrarsi con una logistica dell’esercito russo che non sta rivelandosi nel pantano ucraino all’altezza delle previsioni. La sinfonia dei poteri principio fondativo che governa il mondo Russo e il consenso espresso o sotterraneo dell’ortodossia ad ogni impresa imperiale di ri-costruzione della grande madre Russia potrebbe definitivamente incrinarsi se l’invasione dell’Ucraina non portasse a breve alla capitolazione del Paese, finendo solo per inasprire rapporti politici e religiosi già pessimi e alimentando la narrazione separatista e nazionalista degli uniati. E Mosca, la terza Roma, non può permetterlo. l’Ucraina è per il patriarcato di Mosca ancora un grande bacino di sacerdoti, di chiese e di fedeli.



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