Il dibattito sulla transizione ecologica e sulle strategie per combattere i cambiamenti climatici ha riportato d’attualità, in Italia, il tema del nucleare. Quale futuro per il nostro Paese? Ecco cosa scrivono Celso Osimani, chimico industriale, e Ivo Tripputi, ingegnere nucleare, nel libro “Il futuro dell’energia nucleare” (IBL Libri)
È (…) possibile che l’evoluzione della tecnologia nucleare negli ultimi 10 anni con livelli maggiori di sicurezza e l’avvio della procedura per la realizzazione di un deposito nazionale di rifiuti radioattivi possa essere considerata un elemento sufficiente per riavviare un processo legislativo a supporto della realizzazione di nuove centrali nucleari in Italia.
Le attuali attività nucleari in Italia oggi sono:
- Decommissioning.
- ITER e reattori a fusione.
- Reattori di ricerca.
- Attività delle università.
- Attività per il nucleare all’estero.
- Altro.
In questa situazione l’Italia tipico Paese altamente industrializzato e praticamente privo di risorse energetiche proprie deve far ricorso in primis alle energie rinnovabili, ma in parallelo a una fonte energetica come quella nucleare che non contribuisce alla produzione di gas serra, in un sistema correttamente integrato.
La ripartenza del nucleare in Italia richiede alcune scelte coraggiose e il supporto della politica e della popolazione. Nessuno vuole correre i rischi industriali ed economici e vedere scempi simili a quello che è avvenuto con la centrale di Alto Lazio.
Le tecnologie dovranno essere importate, ma fin da adesso l’industria italiana può aderire e partecipare alle iniziative più promettenti e più adatte al nostro Paese, contando su competenze ancora significative esistenti. Già nel 2009, quando si parlava di rinascita del nucleare in Italia, la Confindustria avviò un gruppo di lavoro che dimostrò come il 90% del valore di una centrale nucleare poteva essere realizzato in Italia da industrie italiane.
Il sistema produttivo è in grado di contribuire in modo significativo alla costruzione dei reattori, specie gli SMR che non richiedono ad esempio grandi officine.
Un aspetto da non sottovalutare è il sistema legislativo e il sistema di controllo. L’ente di controllo, oggi ISIN, è un piccolo frammento di quello che era in passato il suo predecessore, dove grandi competenze esistevano anche sulla certificazione e sull’esercizio delle centrali nucleari.
L’Italia avrebbe quindi bisogno di una strategia politica largamente condivisa, di una informazione e condivisione popolare di queste decisioni e dell’avvio di un programma importante basato su collaborazioni internazionali.
Non è l’obiettivo di questo libro e gli autori non intendono proporre scenari energetici per l’Italia, che per essere seri richiederebbero studi e competenze multidisciplinari.
Le previsioni del Governo per il quadro energetico italiano al 2050, pubblicato a gennaio 2021 in risposta all’impegno della conferenza di Parigi (ma che non ingloba gli effetti dell’epidemia COVID) prevede un aumento della domanda elettrica. La produzione di energia elettrica dovrà raddoppiare e arrivare fino a 700 TWh all’anno.
Senza voler offrire una strategia energetica vogliamo fare qualche semplice considerazione.
Nei Paesi dell’OCSE oggi un contributo considerato 127 equilibrato di potenza di base fornito tramite energia nucleare è di circa il 25-30%. Il 25% di 700 TWh sono 175 TWh. Se consideriamo che le centrali moderne possono ottenere una disponibilità del 90%, le ore di produzione sono di circa 7.900 ore. In questo caso sarebbero necessari 22 GWe di centrali nucleari. Questo se le centrali nucleari non dovessero fornire anche altra forma di energia come calore.
Con reattori SMR da 300 MWe circa sarebbero necessari circa 65 reattori nucleari, che potrebbero essere concentrati in gruppi di 8 in 8-9 siti. Quindi sarebbe necessario individuare 8 siti in ognuno dei quali andrebbero installati 8 reattori SMR da 300 MWe. Oppure due reattori da 1.200 MWe in ciascuno dei siti.
Ci rendiamo conto che questa valutazione è criticabile nella sua semplicità, tuttavia pensiamo possa dare una indicazione di larghissima massima delle difficoltà che l’Italia incontrerebbe se volesse raggiungere un mix energetico che includesse una quota non trascurabile di energia nucleare.