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E se l’inflazione avesse già raggiunto il suo picco?

Dagli Stati Uniti, dove l’aumento dei prezzi al consumo è stato molto più alto che in Europa e in Italia (ha toccato il 7,5% annuo in gennaio), ci sono indicazioni che il tasso ha raggiunto il suo massimo e sta iniziando una lenta discesa. Lo scrivono Moody’s e gli economisti Weber e Cavallo

Questa testata ha sempre tenuto una posizione molto chiara sugli aumenti dei prezzi causati direttamente o indirettamente dalla pandemia e che riguardano essenzialmente i prodotti energetici ed alimentari. Si è cercato di documentarne al meglio la dinamica, sottolineando, in particolare, che (come dimostrato da ricerche economiche –mai smentite –  e relative in particolare all’Italia) i mezzi di informazione abbiano avuto nel recente passato (ossia poco più di venti anni fa) un ruolo non secondario nel diffondere aspettative inflazionistiche generalizzate sulla base di tensioni specifiche ad alcuni mercati. Le aspettative che incidono su tutti gli agenti economici sono il maggiore e miglior veicolo che quella che un articolo del New York Times del lontano 1937 chiamò la spirale prezzi-salari.

È utile tornare ancora una volta sul tema perché, proprio mentre numerose categorie si agitano perché vengano adottate misure anti-inflazione, occorre chiedersi se a) le tensioni inflazionistiche non abbiano raggiunto il loro picco e b) strategie anti-inflazionistiche ora non potrebbero comportare costi (ossia danni) superiori ai benefici, soprattutto se, cedendo ad alcune posizioni e pressioni all’interno della Banca centrale europea (Bce), finiranno per coinvolgere la politica monetaria con un aumento dei tassi ed un Quantitative Tightening. Da Francoforte, sede della Bce, sono giunti il 15 febbraio inquietanti spifferi.

Guardiamo, innanzitutto, ai dati Istat più recenti. In gennaio in Italia, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dell’1,6% su base mensile e del 4,8% su base annua (da +3,9% del mese precedente). L’ulteriore e marcata accelerazione dell’indice su base tendenziale è dovuta prevalentemente ai prezzi dei beni energetici (la cui crescita passa da +29,1% di dicembre a +38,6%), in particolare a quelli della componente regolamentata (da +41,9% a +93,5%), e in misura minore ai prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +22,0% a +23,1%), dei beni alimentari, sia lavorati (da +2,0% a +2,4%) sia non lavorati (da +3,6% a +5,4%) e a quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +2,3% a +3,5%); da segnalare, invece, il rallentamento dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +3,6% a +1,4%). L’inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, rimane stabile a +1,5%, mentre quella al netto dei soli beni energetici accelera da +1,6% a +1,8%.

Sono dati eloquenti. Sono cresciuti notevolmente i prezzi dell’energia, specialmente dei prodotti i cui prezzi sono “regolamentati”, un mercato in cui l’autorità di regolazione può, ed anzi ha il dovere di, incidere e in cui il Governo può portare sollievo temporaneo non generalizzato ma alle fasce deboli utilizzando la leva tributarie sulle aziende (poche ma potenti) che dalla situazione traggono extra-profitti.

Più difficile, operare nel mercato dei generi alimentari: come già sottolineato su questa testata, è doveroso alzare la voce a Bruxelles in materia di politica agricola comune. Di recente, Robert Shiller ha ricordato come sia errato includere i prezzi dell’energia e degli alimentari nelle stime aggregate dell’inflazione data la loro volatilità. Sono infine da considerarsi fisiologici, e temporanei, gli aumenti dei prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona a ragione del forte aumento della domanda dopo due anni di restrizioni dovute alla pandemia.

Dagli Stati Uniti, dove l’aumento per l’indice dei prezzi al consumo è stato molto più alto che in Europa ed in Italia (ha toccato il tasso annuo del 7,5% in gennaio) ci sono indicazioni che il tasso (inclusivo di energia ed alimentari) ha raggiunto il picco e sta iniziando una lenta discesa, soprattutto in quanto si stanno esaurendo gli effetti sui prezzi del rapido “rimbalzo” dell’economia registratosi dopo la brusca recessione del 2020 dovuta ai vari lockdown ed ai forti stimoli monetari e di bilancio per superarla.

Ne è convinto Mark Zandi, che dirige l’ufficio studi economici di Moody’s Analytics che ha pubblicato un’attenta analisi da cui si deduce che tra qualche mese l’indice dei prezzi al consumo inizierà un chiaro declino “quali che saranno le misure adottate dalle autorità monetaria”, A conclusioni analoghe sono giunti Micheal Weber della Università di Chicago e Alberto Cavallo dell’Università di Harvard.

Si potrebbero fare altre citazioni. Così come gli aumenti dei prezzi negli Usa hanno anticipato quelli in Europa (e sono stati più sostenuti), è ragionevole chiedersi se anche nel Continente vecchio, le tensioni inflazionistiche abbiano raggiunto il picco.


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