L’aggressione russa procede anche via internet e non solo nell’infosfera ucraina: le emittenti del Cremlino continuano indisturbate a diffondere propaganda in Occidente. Senza chiudere i social, occorre ripensare l’approccio alle fonti “scoperte” di disinformazione – come fanno sempre più Paesi Ue
Prima che Vladimir Putin desse ufficialmente il via all’invasione dell’Ucraina, molti analisti speculavano che l’autocrate russo avrebbe colpito il sistema di telecomunicazioni ucraino. Così non è stato, se non per le aree del Donbass in cui il combattimento è più feroce. Gran parte del Paese invaso è rimasto online: a disseminare testimonianze (moniti per altri Paesi?) e rimanere esposto al flusso di misinformazione orchestrato dal Cremlino.
Nel Ventunesimo secolo l’infowar è un fronte fondamentale. Su queste colonne già spiegavamo come l’apparato mediatico pro-Cremlino abbia preparato il terreno per l’invasione classificando il governo ucraino come nazista e genocida e proponendosi come forza di liberazione. La tattica prevede ripetizione costante e l’inondazione di contenuto, per “contaminare” il flusso di informazioni in più lingue. Domesticamente, Putin vende una guerra “giusta”; all’estero incute timore e distorce la realtà.
Anche dopo l’inizio dell’invasione i canali di Mosca (sia quelli plateali che quelli surrettizi) hanno continuato a operare per disseminare messaggi pro-Russia, sminuire gli avversari, creare un casus belli, ma anche inquinare l’infosfera di riferimento, cosa che peraltro contribuisce anche a svalutare il lavoro dei ricercatori Osint (open-source intelligence). Ecco perché le infrastrutture di telecomunicazione sono attive: sostengono un campo di battaglia che il Cremlino coltiva da mesi.
Dove viaggia la desinformazya
Liubov Tsybulska, fondatrice del Centro per le comunicazioni strategiche e la sicurezza dell’informazione dell’Ucraina (un’entità governativa), segue le minacce ibride e la disinformazione contro il suo Paese. “Le attività di propaganda si sono intensificate negli ultimi due mesi”, ha detto a Politico. “La diffondono a diversi livelli. A livello nazionale, ci sono i principali media russi, che il più delle volte sono completamente finanziati e orchestrati dal Cremlino. Poi ci sono molti, molti media locali”, che ricevono dai primi dei contenuti già “impacchettati”.
Infine, ha detto Tsybulska, ci sono i canali Telegram, “per lo più controllati dal Gru (i servizi segreti russi, ndr)” che diffondono disinformazione. L’esperta crede che fare debunking funzioni ma non basti, che si dovrebbe propagare la narrazione ucraina più esplicitamente. “Questo è un lavoro proattivo”, ha detto, che manca e servirebbe “perché la macchina della propaganda russa è estremamente centralizzata”.
Telegram è ideale per via del suo approccio lassista alla moderazione, ma è molto usato anche da utenti comuni, organizzazioni e persino governi, tra cui quello ucraino (che ha approntato una lista di canali di disinformazione noti). Da lì i messaggi possono fare il “salto” verso altri social più monitorati (Facebook, Instagram, Twitter, TikTok…).
Ma esistono anche trasmissioni più “tradizionali”, come le emittenti appartenenti al Cremlino: RT/Russia Today, Sputnik e altre. Dispongono di un sito e di pagine social; nel caso di RT c’è anche un canale televisivo gratuito in cinque continenti, che offre contenuti in più lingue.
La risposta al Cremlino
L’Europa sembra aver scoperto da poco che può fare pressione sui megafoni di Mosca. Le sanzioni occidentali hanno colpito anche l’editrice capo di RT, Margarita Simonyan. Giovedì la Polonia ha bandito l’emittente, seguendo l’esempio tedesco di inizio febbraio (ma la Lettonia l’aveva già fatto nel 2020). Nel Regno Unito si valuta la chiusura, come anche in Francia, dove giovedì la star televisiva Frédéric Taddeï ha annunciato che avrebbe cessato di presentare il suo talk show su RT “per lealtà verso la Francia”.
Queste mosse suggeriscono che i Paesi europei stanno trovando la volontà di agire per tappare una fonte di desinformazya – strumento di aggressione mediatica del Cremlino – nell’interesse nazionale. Il passo successivo sarebbe oscurare i siti di “informazione” (solo la Lituania ha “spento” il sito di RT), ma serve fare i conti con le considerazioni sulla libertà di stampa ed espressione.
La Germania da mesi vuole bandire Telegram per estirpare la disinformazione, ma tentenna di fronte alla reale pubblica utilità del servizio. Eliminarlo non è certamente la soluzione: l’antidoto ai contenuti “tossici” nelle periferie della rete è l’educazione e l’igiene digitale.
Del resto, in una democrazia, la soluzione migliore è contrastare proattivamente un’emittente disinformativa senza doverla escludere dal consesso di voci – la verità non sta in tasca né a chi scrive, né ai legislatori. Ma una cosa è lasciare la propaganda russa ai margini dell’infosfera, su Telegram o altrove, altra è dargli diretto accesso al pubblico e legittimità al pari di emittenti che non sono controllate da uno Stato apertamente ostile. Che gli piaccia o meno, l’Occidente è sotto attacco mediatico da anni: in tempi di sanzioni, occorre ripensare anche l’approccio alle narrative del Cremlino.