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Non solo Kiev. Occhio all’Opa africana di Putin

Di Luciano Pollichieni

Mentre la polveriera ucraina si infiamma, in Africa Vladimir Putin muove le pedine. Dopo l’abbandono francese del Sahel, i mercenari russi della Wagner si fanno strada in Mali e Burkina Faso. Sfruttando vuoti che hanno lasciato altri. L’analisi di Luciano Pollichieni (Med-Or)

Mentre le truppe francesi ed europee si apprestano a ritirarsi dal Mali (processo che sembra più complesso del previsto) il ridispiegamento delle operazioni Takuba e Barkhane viene ricalibrato non solo per fronteggiare la minaccia jihadista ma anche per contenere la penetrazione russa nel Sahel, con un occhio in particolare alle dinamiche della transizione in Burkina Faso.

La transizione in atto a Ouagadougou, infatti, aggiunge un ulteriore teatro di applicazione alla rivalità tra Russia e Francia per l’influenza nel Sahel. Per comprendere a pieno tale competizione, bisogna subito sottolineare come questa non si concentri esclusivamente sul piano della propaganda e della disinformazione a mezzo social.

Infatti, la rivalità in Africa Occidentale tra Mosca e Parigi è estremamente importante e giocata dai livelli più alti dei sistemi di potere dei due stati. Nelle ore successive al golpe in Burkina Faso, il “padre padrone” dei contractors russi del Wagner Group, Evgenij Prigožin, ha salutato la presa del potere da parte del colonnello Damiba come “l’inizio di una nuova ondata di decolonizzazione” a sottolineare, neanche troppo velatamente, come i contractors russi continuino a monitorare gli sviluppi della transizione nel paese.

Al momento, la presenza e l’influenza del Wagner Group e del suo ideatore all’interno del Burkina Faso restano difficili da quantificare, poiché in questa fase storica concitata il limite tra propaganda e realtà spesso labile. Secondo alcune fonti, Damiba in persona avrebbe provato a convincere il deposto presidente Kaboré ad accettare l’aiuto degli istruttori russi per fronteggiare l’insurrezione nel nord del Paese, e avrebbe deciso di attuare il golpe proprio in seguito al rifiuto di Kaboré a procedere in tal senso.

La presenza dell’influenza di Mosca nel Paese è confermata anche dallo sventolio di bandiere russe che ha accompagnato alcune manifestazioni di supporto ai militari nelle ore successive al colpo di Stato. Appare evidente come la Russia stia riuscendo a sfruttare la convergenza di diversi fattori nel Sahel: il malcontento popolare verso i governi civili, l’aggravarsi della crisi della regione sul piano militare e umanitario, e anche un’insoddisfazione diffusa da parte delle élite militari rispetto ai livelli di assistenza offerti dall’Ue e dai suoi membri.

In questo contesto, Mosca si rivolge direttamente alla nomenklatura dei Paesi saheliani vendendo armi, addestramento ma soprattutto mettendo a disposizione risorse importanti che le cancellerie occidentali solitamente impiegano più tempo a fornire. È importante però non perdere di vista come Mosca non abbia creato queste dinamiche: il Cremlino è stato solo abile a sfruttarle.

Nello scenario attuale, diventa difficile per Parigi imporre la sua linea e questo si traduce in una situazione di stallo nelle relazioni tra la Francia e gli stati della regione che si riflette anche nelle collaborazioni con l’Unione Europea.

Da una parte, è evidente come i governi locali non riuscirebbero a fronteggiare l’aggravamento della crisi securitaria qualora le truppe dell’Esagono si ritirassero completamente (anche con il supporto russo); dall’altra, il sentimento antifrancese continua ad essere aizzato dai regimi locali per acquisire credibilità e questo ostacola in modo genera quegli “ostacoli sostanziali” nella cooperazione con Parigi, di cui ha parlato Macron durante l’annuncio del ritiro dal Mali.

Il ridispiegamento di Barkhane in Burkina Faso assume quindi una doppia valenza. Da un punto di vista prettamente militare, Parigi punta a mettere un coperchio sulla propagazione dell’instabilità agendo da nord, cioè nella regione del Liptako-Gourma grazie a una pressione esercitata dal sud del Niger e dall’ovest del Burkina Faso. Da un punto di vista strategico invece, il ridispiegamento delle truppe dell’Esagono e di quelle di Takuba è anche funzionale a un contenimento dell’influenza russa nel Sahel.

Considerato il momento storico, infatti, Parigi non può permettersi ulteriori scivolamenti degli stati saheliani verso l’orbita d’influenza di Mosca motivo per cui gli apparati francesi seguiranno ancora più da vicino gli sviluppi delle transizioni nella regione in Ciad e Burkina Faso nei prossimi mesi, così come punteranno a rafforzare la presidenza di Bazoum in Niger (uno dei pochi leader democraticamente eletti rimasto in carica nella regione).

In questo contesto, anche Bruxelles non può permettersi di sottovalutare i processi geopolitici in atto nel Sahel. Infatti, sebbene per il momento sussista uno slegamento sostanziale nelle dinamiche competitive tra Russia ed Europa in Africa Occidentale e quelle legate alla crisi in Ucraina, la crescente presenza russa potrebbe aprire alla possibilità di ritorsioni indirette verso l’Europa in risposta agli sviluppi delle tensioni sul fronte orientale.

Mosca potrebbe scoperchiare il vaso di pandora colpendo il fianco sud della Nato, destabilizzando ulteriormente l’area e aprendo la via ai diversi traffici illegali del Sahel verso le coste della Libia. Il match per l’area geopolitica più complessa (e determinante) per il futuro dell’Europa è appena cominciato.

 

Qui si può leggere per intero il policy brief sul colpo di stato in Burkina Faso della Fondazione Med-Or



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