Skip to main content

Mani pulite trent’anni dopo, un mood per pochi intimi

A distanza di trent’anni esatti è interessante monitorare il sentiment della Rete rispetto a una stagione che ha segnato fortemente i primi anni novanta del secolo scorso, ma non solo. Ecco cosa si è detto, sui social, su “Mani pulite” e “Tangentopoli”. Lo rivela Domenico giordano di Arcadia nella sua analisi

Mani Pulite fu tante cose insieme e tra queste di certo rappresentò anche il primo esempio di una saldatura tra la magistratura inquirente, in cerca di un maggiore coinvolgimento da parte dell’opinione pubblica alle inchieste in corso, e il sistema mediale, a sua volta interessato a far crescere, in un’epoca dove il dominio della Rete era ancora molto lontano, lettori e telespettatori.

Una connivenza di scopo mai più dissoltasi in Italia che in tante occasioni poi è servita a inquinare i pozzi piuttosto che a informare i cittadini o garantire gli imputati, e che nel biennio più drammatico di quella stagione, dal 1992 al 1994, è stata la leva perfetta per popolarizzare la furia iconoclasta, che covava sotto la cenere, verso la politica e i suoi rappresentanti a tutti i livelli.

Da quella congiuntura nacque in tutta Italia un clima collettivo di giustizialismo che accompagnò, con tantissima benevolenza, ogni singola inchiesta e che trasformò molti di quei magistrati in novelli liberatori dalla dominazione partitocratica, dei Garibaldi che impugnavano il codice penale e non più il moschetto.

A distanza di trent’anni esatti è interessante monitorare il sentiment della Rete rispetto a quella stagione, vista sotto una luce diversa e meno giacobina, che aveva fortemente segnato i primi anni novanta del secolo scorso. Per farlo ovviamente abbiamo scelto le due keyword identitarie, “Mani pulite” e “Tangentopoli” e un lasso di tempo circoscritto agli ultimi sette giorni per seguire l’onda della polarizzazione online del tema.

L’analisi comparativa ci restituisce almeno due certezze: la prima è che quella rivoluzione delle coscienze che scosse in lungo e in largo il Paese oggi interessa una sparuta minoranza di italiani. La seconda è legata alla permanenza nell’immaginario collettivo dell’espressione “mani pulite” piuttosto che di “Tangentopoli”.

Infatti, dal numero totale di menzioni raccolte in Rete dall’11 al 17 febbraio, poco più di duemila, si comprende come questo anniversario che simbolicamente segna il passaggio tra la prima e la cosiddetta seconda Repubblica, appassiona solo pochi intimi, avanguardie elitarie e solitarie di un dibattito confinato a pochi salotti digitali. Un tema che non ha coinvolto neanche di striscio nessuno dei nostri celebrity leader che si sono tenuti debitamente a distanza dall’argomento e che ha ulteriormente ristretto la platea degli utenti, tant’è che l’unico segretario di partito che ha scelto di postare un contenuto diretto è stato il segretario del Partito Socialista Enzo Maraio che si è agganciato però al tema dei referendum sulla giustizia.

La predominanza della keyword “Mani Pulite” rispetto a “Tangentopoli” inevitabilmente si riflette sui diversi territori digitali che hanno fatto da culla delle discussioni: Facebook ha raccolto la quota maggior di conversato, dal 39 al 44%, mentre Twitter, proprio per la specificità dell’argomento, ha fatto registrare una presenza superiore alla media, dal 15% al 17%, così come rimane rilevante la fetta di conversato che si è cristallizzato sui canali digitali – piattaforme e social – dei siti di news e di informazione.

Questo rapporto si ribalta totalmente se stralciamo dalla raccolta le sole interazioni generate dagli utenti “maschi”: in questo caso Twitter diventa la prima scelta assoluta con il 37% per “Mani Pulite” e con il 42% per “Tangentopoli” e costituisce anche una nuova conferma indiretta della matrice esclusivamente accademico-giornalistica del dibattito sul trentennale.

Così come molto probabilmente è questo confinamento condizionato dalla presenza di pochi e selezionati autori (Nicola Porro, Antonio Di Pietro, Marco Travaglio, Peter Gomez) a far pendere il mood degli italiani online verso un valore negativo che non scende mai sotto l’80%.

Un risultato che potrebbe essere letto anche partendo dalla considerazione che la memoria, individuale e poi collettiva, costruitasi su fonti analogiche ha una resistenza diversa rispetto a quella che si è formata unicamente su fonti digitali.

 



×

Iscriviti alla newsletter