Skip to main content

Dove sono finiti i pacifisti?

Di Romina Perni e Roberto Vicaretti

Perché non scendono in piazza contro il rischio di una guerra in Ucraina? L’intervento di Romina Perni, assegnista di ricerca in Filosofia politica presso l’Università degli Studi di Perugia, e Roberto Vicaretti, giornalista di Rainews24. Insieme hanno scritto “Non c’è Pace, crisi ed evoluzione del movimento pacifista” (People, 2020)

Dove sono i pacifisti? Perché non scendono in piazza contro il rischio di una guerra in Ucraina? Perché noi che quelle piazze le abbiamo vissute non ritiriamo fuori le nostre bandiere arcobaleno? C’era un popolo a inizio degli anni Duemila capace di invadere strade e piazze con l’ambizione di riscrivere l’agenda dei Grandi del mondo in nome e per conto della Pace. Perché quel popolo non c’è più? Quando ci siamo posti queste domande (Non c’è Pace, People 2020) sull’Europa non soffiavano venti di guerra, ma i nostri eserciti erano impegnati in quelle che, con una buona dose di ipocrisia, definiamo “missioni di pace” in varie zone del mondo. Già allora quell’assenza ci sembrava rumorosa e preoccupante, un’assenza che oggi appare addirittura drammatica. Dai 3 milioni di Piazza San Giovanni il 15 febbraio 2003 che rappresentavano il punto massimo della mobilitazione al silenzio di oggi, un silenzio rotto solo dalla manifestazione organizzata dalla manifestazione Sant’Egidio la scorsa settimana.

Dove sono finiti? Dove siamo finiti? Perché non manifestiamo? Per rispondere, però, serve domandarsi prima perché e in nome di cosa manifestavamo 20 anni fa. Mobilitarsi per la Pace in quella stagione significava portare in piazza le ragioni dei diritti – sia sociali sia civili -, della giustizia, dell’ecologia; significava chiedere un altro ordine globale geopolitico ed economico. Pace era la parola chiave che conteneva un vero manifesto politico, una narrazione – diremmo oggi – alternativa. Negli anni, però, tutto quel progetto politico si è progressivamente indebolito.

Interrogarsi sull’assenza del movimento arcobaleno mentre si rischia la guerra in Ucraina deve significare interrogarsi sull’incapacità della politica di connettere quei temi e quelle battaglie. La parola Pace è sparita per anni dal discorso pubblico, è stata la grande assente dal dibattito politico. Quegli stessi partiti, che portavano in piazza bandiere e militanti, hanno dimenticato in questi anni la Pace e, soprattutto, una volta passati dall’opposizione al governo hanno tradito le speranze del popolo arcobaleno, aprendo una ferita che non si è più rimarginata.

Non sono però sparite le ragioni della Pace. Quella Pace che ora proviamo a difendere con le armi della diplomazia, armi necessarie e urgenti in questi giorni difficili, ma insufficienti nel lungo periodo. Una politica di Pace significa non voltare lo sguardo dall’altra parte davanti alle sofferenze e le diseguaglianze vicine e lontane. Significa guardare oltre il nostro quotidiano, il nostro particolare interesse, i nostri egoismi.

Pace, allora come oggi, è l’occasione di rigenerazione per la politica e c’è un’opinione pubblica pronta a tornare in piazza per provare a fermare questa guerra e per scrivere una nuova agenda per il futuro.

×

Iscriviti alla newsletter