Da Agostino a Francesco il credente sperimenta il fatto che non può scrutare il segreto di Dio; egli vede soltanto frammenti e si sbaglierebbe se volesse farsi giudice di Dio e della storia. Ma tra questi frammenti c’è una luce, e Francesco l’ha testimoniata in collegamento con Fabio Fazio. Il commento del teologo Simone Billeci
Il papa intervistato da Fazio ha saputo ancora sbalordire. In collegamento video da Casa Santa Marta, in Vaticano, dove risiede, Francesco ha offerto quasi una sintesi del suo magistero, a beneficio degli spettatori.
Tra i temi trattati ne spicca particolarmente uno: quello inerente al mistero della sofferenza. La risposta data da Francesco al conduttore, a riguardo, è netta: “Se mi chiedete perché, non so rispondere”. Ma il papa non è il primo, né l’unico, né forse nemmeno l’ultimo a rispondere così.
Il problema del Male ha sempre occupato la riflessione di Agostino d’Ippona. Fu esso che lo indusse ad accettare, a 19 anni, sia pure provvisoriamente, la soluzione manichea. Tornato alla fede cattolica, e riconosciuta per giusta la soluzione cristiana, gli toccò in sorte di occuparsene per tutta la vita e difenderla sia contro i manichei che contro i pelagiani, due avversari che, a distanza di tempo – quando combatteva contro i primi Agostino non sognava neppure che potessero sorgere i secondi -, ne proponevano soluzioni diverse, anzi opposte. Difficile situazione la sua, una di quelle che mettono a dura prova l’equilibrio dottrinale d’uno scrittore.
Contro i manichei difese la bontà di Dio Creatore, dimostrando che il loro pessimismo era assurdo. Dio è buono e ha creato le cose buone: le ha create perché è buono e perché le cose sono buone; infatti, non c’è ragione più giusta di questa. Il Male, che è una privazione di Bene, non costituisce un argomento contro l’esistenza di Dio, il quale, anche se nelle cose create c’è il Male, è sempre degno di lode per averle create. Contro i pelagiani, invece, dimostra che l’unica spiegazione della presenza del Male nel mondo è quella che offre la fede cristiana: il peccato originale.
Questo cambiamento di fronte, dovuto al cambiamento dell’avversario, ha fatto dire a qualcuno che Agostino antimanicheo era pelagiano e Agostino antipelagiano era manicheo. È, in fondo, l’accusa che gli rivolgevano i pelagiani. Ma in loro è comprensibile, nei moderni no.
Il santo d’Ippona è estremamente sensibile alla realtà del Male: ne mette in luce l’universalità, la gravità, la molteplicità, ed è particolarmente sensibile ai mali che soffrono i bambini. Questa particolare sensibilità è dovuta certamente alla premura del pastore per la parte più debole del suo gregge (egli si sente il tutore dei pupilli e la voce di quelli che non hanno voce), ma è dovuta soprattutto a ragioni polemiche: di fronte a questi mali non ci si poteva appellare a responsabilità personali.
Scrive a Girolamo: “Quando si arriva al problema delle pene dei bambini, mi trovo – credimi – come stretto in grande imbarazzo e non riesco a trovare che cosa rispondere… parlo anche delle pene che osserviamo coi nostri occhi e con dolore in questa vita; se volessi elencarle tutte, mi verrebbe a mancar il tempo prima che non i vari tipi di esse… Occorre dimostrare con precisione come possa essere giusto che soffrano simili pene senza averne alcuna colpa personale. Sarebbe senz’altro un’empietà dire che questi fatti avvengano senza che Dio ne sappia nulla o che non sia in grado di opporsi a chi ne è la causa, oppure che sia ingiusto nel farli o nel permetterli”.
Da Agostino a Francesco il credente sperimenta il fatto che non può scrutare il segreto di Dio; egli vede soltanto frammenti e si sbaglierebbe se volesse farsi giudice di Dio e della storia. Ma tra questi frammenti una luce, e Francesco a testimoniarla: “Il Signore ha lasciato che suo Figlio morisse. È crudele? No, è un mistero che noi non capiamo bene, ma nel rapporto di Dio Padre con il suo Figlio potremo vedere che cosa c’è nel cuore di Dio quando succedono queste cose. Dio è onnipotente nell’amore”.