Le intenzioni di voto raccontano di una grossa fetta di elettorato grillino che intende virare su Giorgia Meloni, un Pd in lieve ascesa e un Berlusconi che perde consensi ma li consegna a un centro di cui comunque farebbe parte. Speriamo solo che Draghi resista davanti ai pixel impazziti (e costosi) della politica italiana
Si dovrebbe inventare qualche stratagemma per abolire l’anno pre-elettorale. Non so come – forse lavorando sul versante della premialità per gli abitanti dei palazzi della rappresentanza, così che non vengano presi dall’ansia abbandonica, oppure oscurando la pagina politica sui media – sarebbe necessario trovare un sistema per evitare che il governo del Paese s’ingolfi coi singulti soffocanti di una campagna elettorale infinita.
Poi ci si mettono pure i sondaggi che, a questa distanza dall’evento vero, sono soltanto dosi massive di sostanze eccitanti per le sigle celebrate con risultati in salita e gocce di veleno che induce al suicidio per chi viene fotografato in discesa. La foto di gruppo che le varie società demoscopiche ci consegnano in questi giorni vede all’ingrosso il Pd e FdI in ascesa con diseguali incrementi, i Cinque Stelle in caduta libera, un forte ridimensionamento di FI e della Lega (ma, poi vedremo meglio, per la Lega solo se viene messa a confronto con le europee del 2019), un disarticolato pascolo della terra di mezzo – il “centro” mitico come le saghe dei cavalieri della tavola rotonda – che qualcuno calcola con un potenziale del 15%.
Le percentuali raccontano, ma dice forse di più la loro conversione in voti. Confrontando, infatti, le ultime politiche (2018) con la media dei sondaggi che circolano oggi avremmo la restituzione alla roulette elettorale dagli otto-nove milioni di voti scappati in prevalenza da Cinque Stelle e Forza Italia, per raggiungere altri orizzonti, con alcune interessanti evidenze sul versante dei potenziali utilizzatori finali di quel consenso in uscita. A chi si ponesse oggi la domanda: “ma i voti del popolo pentastellato venivano da destra o da sinistra”, forse ci sarebbe già una risposta.
Se assumiamo che il Movimento in questo momento si collochi, come dicono i sondaggi, intorno al 13,5%, quasi venti punti sotto al risultato del 2018, avremmo qualcosa come 6.500.000 voti in libertà. Che corrisponderebbero all’ingrosso a quelli che guadagnerebbe il partito di Giorgia Meloni, che passerebbe dal 4,35% delle elezioni politiche al 21,1 di oggi (+ 5,500 milioni di voti in assoluto), sommati a quelli che guadagna il Pd valutato al 21,5%( +900.000 rispetto al voto di quattro anni fa).
Dunque, se questo ragionamento è giusto, la parte prevalente del Movimento manifesterebbe un’indole destrorsa piuttosto che “progressista”. D’altronde alcuni tratti salienti del sentiment antiparlamentarista alle origini del pensiero grillino combaciavano perfettamente con le parole d’ordine anche del populismo di destra made in Italy. Nel dare/avere la Lega resterebbe più o meno a paro rispetto al voto delle ultime politiche (perderebbe solo qualche decina di migliaia di voti), Forza Italia cederebbe quasi la metà del 14,1% del 2018, in soldoni 2 milioni di voti circa.
Sono questi i voti del mitico riscatto centrista su cui si muove un gruppo sette/otto sigle alla ricerca del Santo Graal? Non oseremmo argomentare oltre, per non mancare di rispetto all’altro supereroe della saga italica, Berlusconi l’ancien, che del gruppo pure farebbe parte e dunque alla fine si riprenderebbe il suo.
Per finire: dobbiamo augurarci con tutto il cuore che Draghi regga botta e resista agli assalti di una politica che, fino alla notte delle elezioni del 2023 sarà in continua fibrillazione elettorale. Sarà come uno di quei quadri digitali che tanto fanno impazzire (chissà perché, poi) i galleristi moderni: tanti pixel colorati in movimento perpetuo ed incoerente. E se li comprano pure…