I leader politici, in genere molto rumorosi e seguiti, da quando è iniziato il conflitto in Ucraina faticano ad attirare l’attenzione, venendo superati da influencer che hanno più presa sul pubblico social pur avendo (in alcuni casi) molti meno follower. L’analisi di Domenico Giordano di Arcadia
Diversamente da quanto abbiamo visto negli ultimi due anni con la pandemia dove i nostri leader politici e, con loro quelli di comunità, sindaci e presidenti di Regione, più dei medici e delle autorità sanitarie hanno trascinato sulle piattaforme social folle di utenti nelle praterie apocalittiche del pro e contro l’obbligatorietà del vaccino, del green pass, delle chiusure e delle riaperture di scuole e attività commerciali, sull’invasione russa ai danni della Ucraina, i nostri politici, cavalieri della tastiera, in queste prime ore stanno balbettando.
Piccoli sussurri di reaction e like rispetto al fragore al quale ci hanno abituati ogni tutte le volte che postavano un qualsiasi contenuto.
Nessuno di loro sembra riuscire a calamitare l’attenzione dei pubblici, a generare audience sufficiente, tant’è che su questo speciale e tragico topic, la guerra della Russia contro l’Ucraina, la loro forza attrattiva sembra essersi liquefatta. Dissolta come neve al sole.
Nei primi due giorni del conflitto i social leader dei partiti italiani sono stati relegati alle spalle di un Giorgio Chiellini o degli Autogol, di una Simona Ventura o di un Alessandro Masala e di tanti altri influencer che nulla hanno a che fare con l’universo politico e che in molti casi hanno una fandom molto più ristretta in termini di follower.
Eppure, quando hanno commentato o postato contenuti con i quali condannavano l’attacco militare russo o esprimevano la loro solidarietà per il popolo ucraino, hanno ottenuto performance nettamente migliori e un’audience ampia e trasversale che ha relegato quella dei politici in un esilio a quest’ultimi sconosciuto.
Le ragioni di questa distanza possono essere diverse e molteplici: potremmo ipotizzare, sapendo però di sbagliare, che il fronte ucraino è lontano dalla nostra quotidianità quindi diventa difficile per i leader populisti polarizzare i pubblici, del resto nessun Putin ci verrà mai a citofonare sotto casa; la guerra, a differenza del Covid, per fortuna non è entrata nelle nostre case con tutto il suo carico di violenza e di lutti; o, ancora, i protagonisti, da Putin a Biden, di questo insano conflitto che cambierà gli equilibri dell’economia mondiale non popolano le nostre giornate digitali di utenti, a differenza degli influencer, scrittori, presentatrici, giornalisti, sportivi, attori, con i quali ci svegliamo la mattina e ci addormentiamo la sera.
O forse, a tutte queste spiegazioni se ne aggiunge un’altra più banale, ma oltremodo drammatica se fosse fondata, che sulle grandi questioni internazionali, sulla progettazione dei rapporti tra Stati e continenti, la Politica nella società liquida ha smarrito del tutto il suo ruolo guida. I leader, e con loro i partiti che non sono più di massa ma di pubblico, stanno cedendo quote importanti di reputazione nei confronti di nuove “leadership” che provengono da settori totalmente diversi e per nulla istituzionali, ma che riescono a traslocare a piè pari la loro capacità di generare audience se postano in pantaloncini da un campo calcio, pronti per un concerto, o semplicemente per spoilerare la prossima serie Netflix fino alle porte di Kiev come se nulla fosse.
Così se Matteo Salvini pubblica la clip video nella quale lascia un mazzo di fiori sulla porta dell’ambasciata ucraina a Roma, ma senza citare o condannare esplicitamente Putin e la Russia il suo post ottiene un engagement di molto più basso rispetto al post degli Autogol. Al pari quando a postare sul tema è Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia viene scalzata tra gli altri da Cathy La Torre, Michele Murgia e Claudio Marchisio.
È chiaro che non c’è una spiegazione univoca a questa difficoltà dei leader di farsi credibilmente ascoltare dai pubblici su un tema così particolare e delicato, perché le cause sono sempre più profonde e stratificate di quanto la superficie del dato ci restituisce, però è evidente una riflessione non solo accademica potrebbe sfociare in un’esigenza di revisione delle strategia di formazione delle classi dirigenti.
(In foto: il gol di Malinovskyi che dedica la doppietta alla sua Ucraina, pubblicato da Gli Autogol)