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Le tre incognite del piano di Putin. Scrive Alli

È riuscito a invadere e conquistare l’Ucraina, come previsto. Non è riuscito a dividere e indebolire Nato e Ue: ha fatto l’opposto. I piani di Putin sono ancora pieni di incognite. E una riguarda il suo alleato a Pechino. L’analisi di Paolo Alli, già presidente dell’Assemblea parlamentare della Nato

Vladimir Putin ci aveva dato numerosi segnali di lucida follia, ma sinceramente non mi aspettavo che arrivasse a questo estremo limite. Un piano in perfetto stile neo imperiale, come il suo allucinante discorso alla nazione. Forse un piano B, perché sperava di riuscire ancora una volta a dividere i suoi avversari, approfittando delle loro debolezze. Le ha provate tutte, anche la minaccia di chiudere i rubinetti del gas verso l’Europa, peraltro una minaccia-boomerang per lui, quindi da annoverarsi tra i bluff del perfetto giocatore di poker.

Invece l’imperatore ha dovuto fare i conti con una imprevista reazione unitaria dell’Occidente, per nulla disposto a fargli sconti, ad esempio riconoscendo l’annessione della Crimea. Il livore e l’odio che Putin ha messo nel suo discorso alla nazione, inusuali per lui sempre così glaciale, dimostrano la rabbia di chi è finito nell’angolo e, per uscirne, deve usare tutti i metodi che ha a disposizione.

Da qui, prima il riconoscimento delle repubbliche separatiste e la relativa  operazione di peace-keeping (!), poi la necessità di “demilitarizzare e denazistizzare” l’Ucraina. Il tutto in tempi brevissimi, prendendo tutti in contropiede, a dimostrazione che il tempo, in politica, è tutto.

Ora è costretto a vincere la guerra e a mettere a Kiev un governo-fantoccio, stile Bielorussia. Ha il vantaggio, appunto, della sorpresa e una supremazia aerea schiacciante, ma troverà resistenza. Gli serve una guerra-lampo, perché non può permettersi di lasciare 200.000 uomini sul terreno a lungo, i costi sarebbero troppo alti anche per lui, nonostante il tesoretto da 500 miliardi di dollari accumulato negli anni.

Ha stretto d’assedio l’Ucraina con mosse tattiche militarmente perfette, giocando sul sostegno della Bielorussia per attaccare Kiev da nord, e sulla presenza trentennale delle forze russe in Transnistria, la provincia occupata al confine tra l’Ucraina e la Moldova della europeista Maia Sandu. La militarizzazione della Crimea ha fatto il resto da sud.

Andrà fino in fondo, non può permettersi di tornare indietro, e nessuno ci garantisce che, se prenderà Kiev, si fermi lì e non prosegua poi, ad esempio proprio in direzione Moldova.

L’Europa è chiamata, ancora una volta, a crescere attraverso una grande crisi: dopo la pandemia, che ha costretto a ripensare le basi del sistema economico e finanziario introducendo il concetto del debito comune, vediamo se ora la crisi Ucraina sarà l’occasione per il pur tardivo rafforzamento di una politica estera e di difesa europea, integrata con la Nato, che resta ancora lo strumento di difesa collettiva più efficace.

Se così sarà, Putin, oltre a non aver diviso l’Europa, l’avrà addirittura compattata. Perché il vero obiettivo di Putin non è mai stata la Nato ma l’Europa, rea di essere forte economicamente e portatrice di valori di libertà in grado di “contagiare” la cultura russa, o almeno la sua concezione di cultura russa.

Il problema è che questo disegno, se si compirà, potrebbe non avere solo ricadute sull’assetto del continente europeo.

Dobbiamo  infatti osservare con attenzione le reazioni della Cina, che ora non dovrebbe avere interesse a seguire Putin. Invece Pechino ha rifiutato il termine “invasione” riferito all’azione russa, e questo non è certo un bel segnale. Se Xi Jinping imiterà Putin attaccando Taiwan, questo segnerà la nascita di una specie di internazionale dell’autocrazia, alla quale potrebbero aderire, oltre a Russia e Cina, numerosi regimi totalitari presenti altrove, a partire dal mondo islamico.

Insomma, un ridisegno degli equilibri globali imperniato su un nuovo bipolarismo, non più basato su blocchi geopolitici ma su diverse concezioni della libertà e, conseguentemente, su diversi modelli di governo. Da una parte le democrazie, “condizionate” (in senso positivo) dal rispetto delle libertà e dello stato di diritto, quindi dalla necessità di privilegiare il dialogo e la diplomazia, dall’altra i totalitarismi, liberi di usare forza e violenza a proprio piacimento.

Un nuovo bipolarismo destinato a ridurre sempre più l’importanza degli organismi multilaterali, a partire dalle Nazioni Unite, e a far saltare le basi stesse del diritto internazionale. Uno scenario catastrofico, ma che anche in Occidente potrebbe trovare sostenitori, a partire da Donald Trump, che definisce Putin “un genio”.

Le sanzioni, per quanto strumento largamente imperfetto, sono l’unico mezzo a disposizione dell’Occidente: devono essere fortissime e mirate, per non colpire la povera gente russa ma i suoi oligarchi. A proposito di sanzioni, quelle del Giappone assomigliano molto a un avvertimento alla Cina, che usa gli stessi metodi di Mosca nel Mar Cinese Orientale e Meridionale.

Di fronte ai drammatici messaggi che ricevo da amici ucraini, che mi spezzano il cuore, resto sbalordito per i molti benpensanti italiani che, avallando la narrativa putiniana, si affrettano a spiegare che l’Europa e la Nato non dovevano provocare la Russia allargandosi ad Est.

Analisi superficiali, fatte da persone che non hanno vissuto sotto il comunismo e non hanno mai cercato di capire i popoli che, non volendo rischiare di tornare a un passato buio, dopo il crollo del muro di Berlino hanno liberamente scelto di muoversi verso l’Occidente libero e sicuro. Del resto, se oggi il 90% degli ucraini e dei georgiani vogliono l’adesione all’Unione Europea e alla Nato, ci sarà pure una ragione.

Ora perché Putin possa completare il suo piano restano solo tre variabili fondamentali: il fattore tempo, la determinazione dell’Occidente a sostenere l’Ucraina e Pechino. Davvero difficile prevedere come andrà a finire.

 

 

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