L’Ue pronta a colpire alcuni istituti. Tra questi, il potente Veb, che si occupa di sviluppo ed è guidato dall’ex vicepremier Shuvalov. Fino a poche settimane fa, uno dei “numeri due” era Cesare Maria Ragaglini, l’ex ambasciatore a Mosca. Ecco le sue dichiarazioni contro l’Ucraina nella Nato e il suo ipotizzato futuro politico in Italia
Nel pacchetto di sanzioni che l’Unione europea ha preparato in risposta al riconoscimento russo delle cosiddette repubbliche popolari separatiste nell’Ucraina orientale ci sarebbero anche i beni di almeno tre banche russe che “finanziano operazioni militari o di altro tipo nelle regioni controllate dai separatisti dell’Ucraina orientale”, come riporta Bloomberg. Tra queste, Veb, istituto che si occupa di attività economiche all’estero, già sanzionato dagli Stati Uniti dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e guidato dal potente ex vicepremier Igor Shuvalov,
Tra i vicepresidenti di Veb c’era fino a poche settimane fa anche un italiano: l’ambasciatore Cesare Maria Ragaglini, 68 anni di cui 40 spesi alla Farnesina, dal 2009 al 2013 rappresentante permanente presso le Nazioni Unite a New York e dal 2013 al 2017 ambasciatore a Mosca.
Prima di congedarsi da quello che è stato il suo ultimo incarico diplomatico, e prima anche di ricevere da Vladimir Putin l’ordine dell’Amicizia, una delle più alte onorificenze russe, era stato intervistato dal Corriere della Sera. In quell’occasione si era detto convinto che il presidente russo veda “nell’Europa un partner naturale” e aveva parlato così dell’Ucraina: “Non è possibile pensare che l’Ucraina entri nella Nato, che poi è il punto focale. Se risolviamo questo problema, risolveremo tutto il resto. Piaccia o meno, è così”, aveva sentenziato. E ancora, contro le sanzioni: “difficilmente raggiungono l’obiettivo per il quale vengono imposte, in questo caso costringere Mosca a cambiare atteggiamento. Anzi, spesso come conseguenza la popolazione si stringe intorno al potere dominante. È successo anche in Russia”.
Attraversati passaggi storici cruciali come la crisi del 2014 e gestiti i rapporti italorussi sotto tre governi (quelli di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni), il diplomatico natio di Massa è dunque diventato, a marzo del 2019, un anno e mezzo dopo la fine del suo mandato nella capitale russa, vicepresidente della società statale russa che si occupa di investimenti strategici. Una sorta di Cassa depositi e prestiti ma con un bazooka in più, come raccontato dal giornalista del Tg5 Luigi De Biase.
All’epoca della nomina, lo stesso aveva osservato la poca attenzione della stampa italiana alla notizia Ragaglini. Al contrario, il quotidiano economico russo Vedomosti non aveva mancato di sottolineare che l’ambasciatore è il primo straniero ammesso ai piani alti dell’istituto pubblico. Non si tratta dell’unico diplomatico italiano a essere entrato in una società russa finito l’incarico a Mosca. Ma nel caso di Vittorio Surdo, ambasciatore in Russia dal 2006 al 2010, il passaggio è stato a una società privata, Lukoil (come capo delle relazioni esterne in Italia), dopo una breve parentesi in Enel. Veb, invece, è un istituto caratterizzato da una forte proiezione estera a sostegno degli investimenti ritenuti strategici dal governo.
Dopo la nomina di Ragaglini in Veb, quelle dichiarazioni di un anno e mezzo prima al Corriere della Sera, talmente poco in linea con la politica estera italiana da alimentare interrogativi della serie “l’ambasciatore parla a titolo personale?”, erano state rispolverate da molti. Anche dal quotidiano polacco Gazeta Wyborcza che aveva dato “fondo all’intero repertorio di sospetti e di non detti che a Varsavia la notizia dell’ingresso in Veb riesce come sembra ancora a sollevare”, aveva notato sempre De Biase. “Ragaglini è stato ambasciatore in Russia durante l’invasione della Crimea”, aveva scritto il giornale. “Prima era rappresentante permanente dell’Italia presso le Nazioni unite, e la banca Veb ha partecipato al programma dell’Onu sulla protezione dell’ambiente”, notando poi che “molti manager e politici stranieri lavorano in compagnie russe, ma di norma assumono il ruolo di consulenti nei consigli di amministrazione o nei consigli di vigilanza. Ragaglini è il primo a entrare nel direttivo di una società statale che si occupa di investimenti strategici”.
Di che cosa si occupava l’ambasciatore in Veb? A tal proposito De Biase aveva annoverato due ipotesi. Prima: il suo incarico da vicepresidente, uno dei 14 della società, è meno operativo di quanto si possa immaginare. Seconda: la sua nomina è stato decisa “per fare lobbying contro le sanzioni, dal momento che molte aziende italiane vorrebbero tornare sul mercato russo, anche a costo di accettare la questione Crimea”, come scritto da un utente nella cosiddetta Sala Caldaie, “un canale anonimo di Telegram usato a quanto si dice da ufficiali del governo”, aveva notato il giornalista.
“È lo stesso che è accaduto a Rosneft con [tedesco Gerhard] Schröder”, recitava ancora il messaggio citando il caso dell’ex cancelliere tedesco, da più parti, anche in Germania, giudicato inopportuno. Era, come detto, il marzo del 2019. Tre anni fa. Intanto, Schröder, già membro dei consigli di amministrazione di Nord Stream 1 e Nord Stream 2 oltreché del gigante petrolifero, da giugno entrerà in quello del monopolista del gas Gazprom, perno dell’economia e della politica russa, oltreché del potere del Cremlino.
In questi giorni il diplomatico è al centro delle cronache toscane. Come raccontato dal Tirreno infatti, il suo nome a Massa è “sostenuto da più parti come prossimo candidato a sindaco per il centrosinistra, e avallato anche dal Partito democratico” (in occasione del G8 di San Pietroburgo del 2006 Ragaglini, allora ministro plenipotenziario, era sherpa del presidente del Consiglio Romano Prodi). Ma la famiglia dem, pare proprio sul nome, si è spaccata con le dimissioni, poi ritirate, di Norberto Riccardi dalla carica di segretario del Pd locale.
Le prossime elezioni amministrative nella città toscana si terranno tra meno di due anni. Nel frattempo, però, l’ambasciatore ha rilasciato alcune dichiarazioni al Messaggero parlando di Ucraina e del 2014, giustificando le mosse di allora del Cremlino, cioè l’annessione della Crimea avvenuta in piena violazione del diritto internazionale: “Gli ucraini scesero in piazza, arrivarono a Kiev commissari e ministri europei, alla fine fu siglata una mediazione”, ha raccontato. “La notte stessa vennero assaltati i Palazzi del governo e i russi, a quel punto, decisero di ‘mettere in sicurezza’ la Crimea, che non solo appartiene storicamente alla Russia ma i cui abitanti sono all’80 per cento russi”.