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Ratzinger, Kierkegaard e quell’apologo del clown

Chi tenta di diffondere la fede in mezzo agli uomini che si trovano a vivere e a pensare nell’oggi può realmente sperimentare l’impossibilità a comprendere gli uomini dell’epoca nostra. Il commento del teologo Simone Billeci

“Chi oggi tenti di parlare della fede cristiana, di fronte a persone che per professione o per convenzione non hanno familiarità col pensiero e col linguaggio ecclesiale, avvertirà ben presto quanto sia ostica e sconcertante tale impresa. Avrà probabilmente subito la sensazione che la sua posizione sia descritta per filo e per segno nel noto apologo del clown e del villaggio in fiamme narrato da Kierkegaard, recentemente ripreso in forma stringata da Harvey Cox nel suo libro La città secolare”.
Con queste parole l’allora prof. Joseph Ratzinger iniziativa il suo memore testo Einführung in das Christentum, scaturito dalle lezioni tenute a Tubinga nel semestre estivo del 1967.
La storiella, in particolare, narrava di un circo viaggiante in Danimarca, colpito da un incendio. Il direttore mandò subito il clown, già abbigliato per la recita, a chiamare aiuto nel villaggio vicino, oltretutto perché c’era pericolo che il fuoco, propagandandosi attraverso i campi da poco mietuti e quindi secchi, s’appiccasse anche al villaggio.

Il clown corse affannato al villaggio, supplicando gli abitanti ad accorrere al circo in fiamme, per dare una mano a spegnere l’incendio. Ma essi presero le grida del pagliaccio unicamente per un astutissimo trucco del mestiere, tendente ad attirare il maggior numero possibile di persone alla rappresentazione; per cui lo applaudivano, ridendo sino alle lacrime. Il povero clown aveva più voglia di piangere che di ridere e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegando loro che non si trattava affatto d’una finzione, d’un trucco, bensì di una amara realtà, giacché il circo stava bruciando per davvero. Il suo pianto non faceva atro che intensificare le risate: si trovava che egli recitava la sua parte in maniera stupenda.

La commedia continuò così finché il fuoco s’appiccò realmente al villaggio e ogni aiuto giunse troppo tardi: villaggio e circo finirono entrambi distrutti dalle fiamme.

Cox, osservava il prof. Ratzinger, narrava questo apologo a titolo esemplificativo, per delineare la situazione in cui versa il teologo al giorno d’oggi, e nel clown, che non riesce a far sì che il suo messaggio sia veramente ascoltato dagli uomini, vede l’immagine del teologo. Anch’egli, infatti, paludato com’è nei suoi abiti da pagliaccio tramandatigli dal Medioevo o da chissà quale passato, non viene mai preso sul serio. Può dire quello che vuole, ma è come se avesse appiccicato addosso un’etichetta, come se fosse imprigionato nel suo ruolo. Comunque si comporti, qualsiasi tentativo faccia per presentare la serietà del caso, tutti sanno già in partenza che egli è appunto solo un clown. Si sa già di che cosa parli, si sa che offre solo una rappresentazione che ha poco o nulla da spartire con la realtà. Lo si può quindi ascoltare con animo sollevato, senza esser obbligati a inquietarsi seriamente per quello che dice.

All’indomani della discutibile prestazione artistica di Achille Lauro al Festival di Sanremo e dei significativi commenti a riguardo, fatti riecheggiare persino dall’Osservatore Romano, ci si auspica che il noto apologo del clown-teologo non abbia a ripetersi.

Forse, ieri come oggi, valgono ancora le parole con le quali il prof. Ratzinger chiudeva, a mo’ di chiosa, il commento all’aneddoto del filosofo danese: “Chi tenta di diffondere la fede in mezzo agli uomini che si trovano a vivere e a pensare nell’oggi può realmente avere l’impressione di essere un pagliaccio, oppure addirittura un risuscitato da un vetusto sarcofago, che si presenta al mondo odierno avvolto nelle vesti e nel pensiero degli antichi, e pertanto nell’impossibilità di comprendere gli uomini dell’epoca nostra e di essere compreso da loro”. Una impossibilità a comprendere certi uomini della nostra epoca, ben al di là dei loro meri gesti artistici.

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